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La storia del trasporto pubblico di Roma raccontata con passione e per passione. Sito fondato da Vittorio Formigari, online dal 1999 |
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Rotabili della rete tranviaria di Roma. Materiale dell'azienda municipale |
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PIANALE RIBASSATO: NE VALE SEMPRE LA PENA? |
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Riproduciamo il testo di una memoria sull'oramai annosa questione del tram a pavimento basso, presentata dall'ing. Viganò (*) al 4° Convegno Nazionale Sistema Tram, Metro-Tram-Treno. Evoluzione e flessibilità, Roma settembre-ottobre 2010. La memoria è quindi di circa quattro anni fa, ma non riteniamo che in questi quattro anni le cose siano tanto cambiate, anzi da noi non sono certamente cambiate per niente. |
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1. La prima generazione di tram a pavimento basso. I primi tram a pavimento basso risalgono alla metà degli anni ottanta. Nacquero a partire da un classico tram articolato a due casse su tre carrelli, di cui i due estremi motori, abbassando a circa 350 mm dal p.f. (piano del ferro) il pavimento in tutta la parte centrale del tram, fra i due carrelli motori, che restavano di tipo tradizionale. Così si presentavano tutti i primi tram a pianale ribassato (figg. 1 e 2): il prototipo della Officina Meccanica della Stanga (Firema) del 1984, primo tram al mondo a pavimento basso (1), i tram Alstom di Grenoble (1987) che costituirono per un certo tempo il tram standard francese (con installazioni a Parigi e Rouen), i 54 TPR (tram a pianale ribassato) del Consorzio Fiat Ferroviaria-Ansaldo per l’Azienda Trasporti dl Torino (1989), i tram Socimi di Roma (1990).
Cuore di questi tram, che rappresentarono una grande innovazione, era il carrello portante centrale a ruote indipendenti, senza sale o con "false sale" a doppio collo di cigno, che permetteva di mantenere il pavimento basso in tutta la zona fra i due carrelli motori di estremità. Salvo i1 prototipo Firema, tutti questi tram presentavano lo sdoppiamento dell’articolazione fra le due casse principali; la tradizionale "giostra" diveniva una piccola cassa, solidale al carrello portante a ruote indipendenti. L’insieme della piccola cassa e del relativo carrello costituiva un cosiddetto "carrozzino". Questa soluzione serviva per mantenere il più ampio possibile il passaggio attraverso l’articolazione, nello spazio all'interno fra le ruote del carrello portante ma aveva anche il vantaggio di generare un interperno apparente maggiore dell'effettiva distanza fra i centri di rotazione, per cui si potevano realizzare casse più lunghe a parità di fascia d'ingombro ammissibile. All'interno di questi tram occorrevano due o tre gradini per superare il dislivello di circa mezzo metro fra la zona ribassata e le zone a pavimento alto al di sopra dei due carrelli motori. A livello normativo, questo tipo di rotabile fu rispecchiato dalla norma UNIFER pubblicata nel gennaio 1986 come UNI 8944, oggi ritirata e sostituita dalla UNI 11174:2005 (a sua volta in corso di revisione). 2. L'avvento del pavimento tutto basso. Nel volgere di pochi anni si assistette all'ulteriore evoluzione del pavimento basso esteso a tutta la lunghezza del tram. Già nel 19S9 appariva il primo tram a pavimento tutto basso del mondo, il prototipo Socimi S-350 LRV, seguito a ruota in Europa da altri rotabili altrettanto rivoluzionari. Il veicolo Socimi (fig. 4), presentato nel giugno 1989, aveva carrelli entrambi motori, che ruotavano rispetto alla cassa per mezzo di una normale ralla a sfere. Malgrado il passo corto (1400 mm), la grande rotazione dei carrelli richiesta dai piccoli raggi delle curve tranviarie riduceva parecchio la larghezza dei passaggio interno. Ciò avveniva già con lo scartamento ordinario; con lo scartamento ridotto, molto presente fra le tranvie europee, tale soluzione sarebbe stata impraticabile (fig. 6).
Per questo motivo il fortunato tram GT6N della MAN GHH (2) (fig. 7), il cui prototipo fu presentato nel febbraio 1990, abbandonava il concetto tradizionale dei carrelli che ruotano rispetto alla cassa, riprendendo lo schema di alcuni tram dl Brema, realizzati negli anni settanta dalla Wegmann (3), caratterizzato da un numero di carrelli uguale a quello delle casse, articolate fra loro, con i carrelli posti al centro della rispettiva cassa. Per permettere l'inscrizione in curva deve essere lasciata una certa libertà angolare fra carrelli e casse. L'insieme di queste sarebbe labile nel piano orizzontale, salvo che le casse sono trascinate elasticamente in rotazione (in curva) e richiamate in posizione allineata in rettilineo) tramite la rigidità laterale delle sospensioni secondarie, attraverso le quali le casse stesse poggiano sui carrelli (direttamente, senza ralle). Dunque il GT6N, pur in misura limitata (+2,3°), manteneva ancora una capacità dei carrelli di orientarsi rispetto alle casse.
Dopo cinque prototipi, andati a varie città, questo tram, realizzato anche in versione a quattro casse (tipo GT8N), nel 1993 divenne il primo tram a pavimento tutto basso ad essere prodotto in serie, grazie all’ordinazione di 78 GT8N da parte di Brema, seguita da molte altre città tedesche, fra cui Berlino, che negli anni è arrivata ad acquistare 150 GT6N. Invece, il prototipo TPIR (tram a pianale integralmente ribassato) realizzato da Firema con la collaborazione di Fiat Ferroviaria nel 1991, riprendeva un’impostazione meccanica analoga al prototipo Socimi, salvo essere costituito da due casse più carrozzino d’articolazione; in più presentava un equipaggiamento elettrico più raffinato (fig. 5). La tranvia di Strasburgo, inaugurata nel 1994, fece scuola per vari aspetti. I rotabili, di design molto ricercato, erano i famosi "Eurotram", sviluppati da Socimi e ABB (fig. 8), ma portati a termine da quest’ultima a seguito del tracollo dell'azienda milanese. Con l'Eurotram esordiva la configurazione dei rotabili articolati con casse sospese, ovvero costituiti da carrozzini poggianti sui carrelli e da casse sospese tra un carrozzino e l’altro. Nel seguito, per brevità, chiameremo questi tram multiarticolati (4). In questo modo, per esempio, il classico tram a due casse su tre carrelli, da 22-30 m con una articolazione se a tradizionale pavimento alto, due articolazioni se a pavimento parzialmente basso, diventava un rotabile poco più lungo (25-32 m) con cinque casse e quattro articolazioni (!): tre casse - i carrozzini - solidali con i rispettivi carrelli e due casse sospese fra le precedenti.
L'Eurotram, lungo 33,1 m, alla vecchia maniera sarebbe stato un tram a tre casse, mentre in effetti era costituito da sette casse, con sei articolazioni. Con riferimento ai rodiggi dei tram multiarticolati, spesso capolavori di meccanica (fig. 9), si continua a parlare di "carrelli", ma in effetti essi non hanno una caratteristica fondamentale dei veri carrelli, ovvero quella di ruotare rispetto alla cassa. Come i truck dei vecchi tram a due assi, in curva i carrelli di un tram multiarticolato devono trascinare con sé in rotazione anche la rispettiva cassa e una quota parte delle casse sospese adiacenti, ovvero un insieme di masse con un’inerzia enormemente maggiore di quella del solo carrello. Ciò si traduce in maggiori consumi delle superfici di rotolamento (ruote e rotaie) e stridìo nelle curve. 3. Si azzarda sempre di più... Per rendere le cose ancora più difficili, quelli che all’inizio erano i carrozzini sono diventati casse sempre più lunghe. Sugli sbalzi di estremità si è cominciato a mettere la cabina di guida, come per esempio sui tram dell’ATAC "Roma 2" di Fiat Ferroviaria (1997, fig. 10). Ma a che serve fare il pavimento basso sopra i carrelli motori di estremità, se queste zone sono dei cul de sac, come - appunto - sul Roma 2? Bisogna mettere almeno una piccola porta sullo sbalzo: ecco il Combino di Siemens, il Sirio di Ansaldo Breda (fig. 11) e altri.
Però alcuni esercenti considerano la porta a una anta insufficiente per l’incarrozzamento; e allora qualche costruttore si rende disponibile a mettere una porta a due ante (fig. 12), con il risultato di sbalzi sempre più grandi e momenti d'inerzia sempre più impegnativi. Oltre a rendere ancora più critica l’iscrizione in curva, l’allungamento degli sbalzi delle casse sui carrelli ha accentuato la tendenza allo "intraversamento", con le casse - soprattutto quelle di estremità - che possono disporsi con un angolo accentuato rispetto al binario. Se da un lato i tram multiarticolati vantano una fascia d’ingombro più ristretta in confronto ai rotabili convenzionali (a parità di distanze fra i carrelli). d'altro canto il fenomeno dell'intraversamerno rende più complicata l'interfaccia fra soglie delle porte e bordi delle banchine delle fermate, perché la distanza fra rotabili e banchine deve tenere conto non solo dei normali giuochi, consumi e movimenti cinematici, ma anche di tale comportamento di marcia. In definitiva, gli attuali tram multiarticolati tendono ad avere casse sui carrelli lunghe all’incirca come quelle sospese, per cui non si può più parlare di "carrozzini". Così, mentre le lunghe casse sospese dell'Eurotram erano completamente libere dai carrelli, per cui le porte e i sedili potevano essere disposti in maniera ordinata ed efficace, l’attuale frammentazione delle casse rende più difficile collocare le porte - a causa della continua alternanza di carrelli e di articolazioni - e comporta layout interni tormentati. Molti sedili devono essere collocati in posizioni inusuali o rialzate (su cassoni, passaruote, ecc,), tanto che in qualche caso gli anziani considerano questi tram scomodi, il che è paradossale, visto che si tratta proprio di una delle categorie di utenti che i tram a pavimento basso vorrebbero favorire (lo stesso giudizio tocca anche alcuni autobus a pavimento tutto basso). In una prima fase storica, i tram a pavimento tutto basso, multiarticolati, si tendeva prudentemente a considerarli adatti alle reti tranviarie nuove o comunque con tracciati abbastanza fluidi e binari in condizioni ottime. Poi, per essere à la page, anche gli esercenti delle reti storiche, con tracciati tortuosi, piccoli raggi di curva, persino senza raccordi di transizione (come a Milano), hanno acquistato tram così fatti. La presenza dei raccordi di transizione (clotoidi) è una condizione pregiudiziale per l'impiego dei tram multiarticolati. Secondo dati Alstom, percorrendo una curva di raggio 18 m senza clotoidi a 12,5 km/h con un tram con carrelli convenzionali che ruotano, il rapporto (5) Y/Q è -0,8, mentre con un tram multiarticolato è -1,2, ovvero al limite della sicurezza. In pratica ciò significa che, per affrontare una curva stretta, un tram multiarticolato deve rallentare di più di un tram con carrelli convenzionali. Man mano che il raggio aumenta, e tanto più se la curva è dotata di raccordi di transizione, il divario fra i due tipi di tram tende a ridursi. Secondo gli stessi dati Alstom (che però risalgono agli anni dell'assolutismo dei tram multiarticolati), il comportamento sarebbe uguale già su una curva di raggio 25 m con brevi clotoidi. Probabilmente questo poteva essere vero con un binario in ottime condizioni, con un’interfaccia ruota-rotaia ottimizzata (profilo ruota ben adattato al profilo delle rotaie) e con un’efficace lubrificazione delle superfici dl rotolamento a terra e sui rotabili (6). Comunque, ciò non si accorda con l'esperienza di alcuni tram multiarticolati, che hanno un comportamento in curva peggiore di qualsiasi tram a carrelli, persino dei tram anni settanta con carrelli monomotorici, sia in termini di velocità - se non rallentasse, il conducente seduto nella parte più avanzata dello sbalzo, verrebbe sottoposto a contraccolpi tutt'altro che confortevoli - sia per il rumore. Infatti stridono terribilmente nel percorrere curve di raggio anche maggiore di 25 m. Questo fenomeno causa una preoccupante disaffezione verso il sistema tranvia. Per i progettisti delle nuove tranvie, che si erano applicati a studiare il migliore inserimento dell’infrastruttura nell’ambiente urbano, sia dal punto vista tecnologico che architettonico, e a convincere di ciò la popolazione residente (coi relativi comitati!), è frustrante vedere tutto vanificato dalle proteste dei cittadini esasperati per lo stridio di certi tram multiarticolati. E per le prossime tranvie sarà arduo convincere la cittadinanza che i tram moderni "non sferragliano più come quelli di una volta, ma sono silenziosissimi....". La moda dei tram multiarticolati ha disgraziatamente coinciso con la tendenza dei grandi costruttori a standardizzare i loro prodotti. Le innumerevoli ricerche, sviluppate dall'industria fra gli anni ottanta e novanta per trovare nuove soluzioni per il pavimento tutto basso - e talvolta anche per assecondare le richieste di alcuni clienti - avevano generato una proliferazione di prodotti. Come è stato efficacemente scritto, erano state prodotte tante "serie di prototipi", con le naturali conseguenze in termini di costi e di problemi di gioventù di tutti quei rotabili. A seguito delle concentrazioni che negli anni novanta hanno interessato l'industria ferroviaria mondiale, coagulatasi attorno a pochi colossi multinazionali, questi si sono ritrovati quasi tutta quella varietà di prodotti. Volendo sfoltire la gamma, per razionalizzare la produzione (parole d’ordine: "piattaforma", "sistema modulare"), era inevitabile che ciascun costruttore puntasse su un tram a pavimento tutto basso multiarticolato come prodotto standard. Tanto più che tali rotabili sono per loro natura modulari e quindi facilmente adattabili (o presunti tali) alle esigenze delle diverse tranvie. Si può immaginare, inoltre, che l’imposizione di un prodotto standard nell'ambito dl ciascuno dei nuovi gruppi industriali, coacervi multinazionali di prestigiosi marchi storici, fosse anche funzionale ad affermare "chi comanda ora". Mentre, dal punto di vista dei clienti, se i maggiori costruttori mondiali proponevano tram così fatti, questi dovevano essere il meglio! A fronte dei problemi prima evidenziati, cosa offrono i tram a pavimento tutto basso rispetto a quelli parzialmente bassi? L’accesso a raso da banchine basse? No, perché anche i secondi offrono questa possibilità, dato che le porte vengono collocate nelle zone ribassate. Resta l'assenza di dislivelli lungo il comparto viaggiatori. Però, anche questa caratteristica è relativa, giacché riguarda il solo corridoio, mentre le zone dei sedili sopra i carrelli sono spesso separate da fastidiosi dislivelli. 4. 1 I tram a pavimento parzialmente basso non sono più quelli degli inizi! L'insieme di circostanze sopra riportate ha portato a trascurare che nel frattempo anche i tram parzialmente bassi stavano facendo grandi progressi. Il pavimento sopra i carrelli motori non era più attorno a 850 mm, come una volta. Sin dai primi anni novanta, una nuova generazione di carrelli motori, pur conservando l’architettura di un classico carrello con due motori di trazione completamente sospesi, ha permesso di collocare il pavimento a 550-600 mm dal p.f., per cui è sufficiente un solo gradino e un po’ di rampa per collegare le zone basse con quelle al di sopra dei carrelli motori (figg. 13 e 16). Anzi è fuorviante parlare di pavimento "alto"; meglio definire tali rotabili a pavimento "medio-basso".
Mentre i carrelli motori "a sogliola" dei vari costruttori sono concettualmente simili fra loro (7), i carrelli portanti, posti nelle zone ribassate, possono essere di tipi diversi. Ne derivano diverse configurazioni di tram a pavimento medio-basso, ciascuna delle quali annovera belle realizzazioni:
Nei tipi 1, 2, e 4 i carrelli portanti si trovano al di fuori delle articolazioni, per cui queste sono sospese. Ne beneficia la fascia d’ingombro, più stretta rispetto ai tram con carrelli un corrispondenza delle articolazioni (a parità di lunghezza del rotabile).
Nella seconda metà degli anni novanta Ansaldo Trasporti e Firema Trasporti avevano realizzato per le tranvie di Oslo un mezzo simile al tipo 4, anche se con caratteristiche molto particolari (tutti gli otto assi motori), dettate dalle prestazioni estreme richieste dalla Oslo Sporveoer (fig. 18). Il processo di concentrazione su una linea di prodotto standard da parte dei grandi costruttori spazzò via rotabili particolari, qualcuno al limite della bizzarria (10). Ma tale processo, pur se assolutamente giustificato, finì per mettere in ombra - se non far sparire del tutto - anche prodotti molto validi, specie se questi non presentavano i requisiti del pavimento 100% basso e della modularità.
Alcuni dei tram a pavimento medio basso sopra richiamati, anche se sopravvissuti alla standardizzazione, erano a mala pena tollerati dai loro stessi costruttori, giusto perché qualche eccentrico conservatore si ostinava a ordinarli. Si pensi alla disparità di trattamento: ai tram standard sono state cambiate innumerevoli testate (11), per assecondare tutti i clienti e i loro architetti, per cui sono nati il tram di Marsiglia a forma dì transatlantico, quello di Reims a forma di flute de champagne... (per Milano ci si risparmi il tram a forma di panettone), belli, per carità, ma non li si dica standard. Invece, per quei tram a casse lunghe, estranei al sistema modulare, non si è mai voluto mettere mano ai loro musi da torpedone, già vecchi in origine. Alla fine questi prodotti venivano esibiti come i parenti poveri, schiacciati dalla magniloquente enfasi del tram modulare, che può tutto in decine di versioni diverse.
A proposito dell’adattabilità, uno degli argomenti principali portati a sostegno dei tram multiarticolati, è vero che i tram standard sono concepiti per adattarsi senza troppe riprogettazioni a diverse lunghezze, larghezze, scartamenti..., fermi restando alcuni moduli base. Ma si fa notare:
Per esemplificare le tendenze dell'industria e del mercato al tempo della standardizzazione, citiamo il caso di Montpellier, una delle ormai numerose città francesi in cui sono state realizzate tranvie di nuova generazione. Nel 2000 la prima linea di Montpellier entrò in servizio con 30 bellissimi e confortevoli Citadis a pavimento medio-basso, due carrelli motori tipo Magdeburg (fig. 13) e carrello portante a ruote indipendenti (Citadis tipo 301, fig. 14). All'epoca della realizzazione della linea 2, inaugurata nel 2006, si era in pieno furore di standardizzazione, per cui i 24 tram della nuova linea sono ancora Citadis, ma a pavimento tutto basso, multiarticolati (tipo 302, fig. 15). Malgrado l'infrastruttura ineccepibile, i conducenti di questi ultimi accusano mal di schiena a causa dell'accelerazione cui sono sottoposti durante la marcia.
5. La riscossa dei "veri" carrelli. Abbiamo visto come la tendenza verso i tram multiarticolati si è affermata per un concorso di circostanze non solo tecniche ma anche di politica industriale e, come tutte le "mode", essa si è autoalimentata oltre il ragionevole.Tutt’oggi continuano a esserci massicce ordinazioni di tram multiarticolati, anche per reti tranviarie storiche. Basti pensare ai 99 Flexity Outlook che Bombardier sta fornendo alla BVG di Berlino (che pure a suo tempo aveva avuto non pochi problemi con i GT6N) nell'ambito di un contratto quadro che ne prevede fino a 210. Tuttavia, finalmente qualcosa sta cambiando. Accanto agli esercenti che i tram multiarticolati non li hanno mai voluti, si stanno aggiungendo quelli che tali tram li hanno e che, non essendo soddisfatti, vogliono tornare ai carrelli che ruotano rispetto alla cassa, almeno per i carrelli motori di estremità. Significativi, anche se particolari, sono i casi di Düsseldorf e Strasburgo (nuova generazione di rotabili, successiva agli Eurotram d’origine), dove le caratteristiche di tipi di rotabili a pavimento tutto basso multiarticolati - rispettivamente il Combino e il Citadis - sono state "smorzate" collocando un carrello portante ad entrambe le estremità, sotto le cabine di guida: tali carrelli, in entrambi i casi con ruote di piccolo diametro, ruotano rispetto alla cassa. per cui l’iscrizione in curva di questi tram si avvicina a quella dei rotabili convenzionali. Un caso rilevante, opposto a quello di Montpellier, si è avuto a Dresda, dove la DVB esercisce una rate tranviaria di 132 km. Dopo la caduta del muro di Berlino, per un primo rinnovo della flotta, la DVB ha puntato su rotabili multiarticolati, con versioni a cinque e sette casse, lunghe rispettivamente 33,5 m e 41 m, forniti a partire dal 1995 da DWA Bautzen (ora Bombardier), per complessive 83 unità (fig. 21). Per inciso: questi tram appartengono a una categoria ibrida, relativamente poco diffusa, di tram a pavimento medio-basso, ma multiarticolati; i carrelli motori, pur essendo di tipo convenzionale, non ruotano rispetto alla cassa (13). Dopo un’esperienza di qualche anno con questi tram, la DVB ha deciso che le nuove acquisizioni avrebbero avuto "veri" carrelli. Ne sono derivati i tram tipo NGTD12DD, che costituiscono una versione lunga dei Flexity Classic di Bombardier. Lunghi ben 45 m, sono costituiti da tre casse principali, ciascuna poggiante su due carrelli, più due brevi casse sospese. Quattro dei sei carrelli sono bimotorici, collocati sotto le casse di estremità, con pavimento a 580 mm, mentre i due carrelli portanti a ruote indipendenti permettono di ottenere il pavimento basso per il 56% della lunghezza. Forniti a partire dal 2003 in lotti successivi, a oggi si sono raggiunte 43 unità (fig. 22).
Di questi rotabili, è stata sviluppata anche la versione corta (14) (30 m, tipo NGTD8DD, 40 unità), a tre casse su quattro carrelli. Curiosamente, essendo derivati dai precedenti, questi tram non presentano, come nella versione base dci Flexity Classic, i due carrelli portanti sotto la cassa centrale, bensì concentrano i carrelli sotto le casse di estremità, per cui quella centrale è sospesa (fig. 23).
Una posizione analoga è stata assunta dalla Baselland Transport A.G.. Mentre l’azienda delle tranvie della città di Basilea (BVB ) è passata attraverso la problematica esperienza del Combino, i fratelli della BLT, che eserciscono le tranvie suburbane che dalla città si inoltrano attraverso il Cantone di Basilea Campagna, hanno stabilito che nel rinnovo della flotta i carrelli motori rotanti sarebbero stati un punto fermo. Dalle richieste dei basilesi è derivato il nuovo tram "Tango" della svizzera Stadler. Lungo 45 m e costituito da quattro casse principali e due carrozzini (fig. 24), è un rotabile per il quale è stata posta molta enfasi sulle qualità di marcia; tutti e tre i carrelli motori ruotano, mentre i due portanti hanno +2,5° di libertà di rotazione rispetto ai carrozzini: le sospensioni secondarie sono pneumatiche (15). Ne risulta un po’ penalizzata l'altezza del pavimento, che sale a 545 mm sopra i carrelli portanti (rampe di raccordo) e a 956 mm sopra i carrelli motori, per cui occorrono i vecchi tre gradini per raggiungere le zone alte, che però sono di limitata estensione (75% di pavimento basso). Dopo avere sperimentato quattro prototipi per un anno circa, nel dicembre 2009 la BLT ha ordinato una prima serie di 15 unità, nell’ambito di un contratto quadro che ne prevede 60, distribuiti su dieci anni.
Sempre nel dicembre scorso, la Stadler si è aggiudicata la commessa per 32 Tango (più opzioni) da parte della TPG di Ginevra. A quell'epoca la TPG stava ancora ricevendo da Bombardier il secondo lotto di 18 tram multiarticolati Flexity Outlook, che seguivano la serie di 21 fornita nel 2004-2005. Anche nella Repubblica Ceca si è assistito a uno stretto connubio fra desiderata di un grande esercente tranviario e prodotto del costruttore nazionale. Per il rinnovo del parco tranviario di Praga, più di 900 vetture, tutte risalenti ai tempi del comunismo, anche se ammodernate, la DPHMP aveva previsto di acquistare un gran numero di tram a pavimento basso, cominciando nel 2006 con tram Škoda tipo 14T, rotabili a pavimento parzialmente basso multiarticolati. La fornitura delle 60 unità previste da quel primo contratto è proseguita fino al 2009. Ma questi tram si sano scontrati con le caratteristiche plano altimetriche tormentate di quella grande rete (140 km) e con la mancanza di raccordi di transizione. Con un tram multiarticolato è impossibile affrontare le curve alle velocità sorprendenti che caratterizzano le tranvie della splendida capitale boema, così come di tante altre città dell'Europa centro orientale. Realizzato che bisognava tornare ai carrelli che ruotano, è stata bandita una nuova gara per 250 tram con questo requisito, da formarsi nell’arco dal 2009 al 2018. La Škoda se l'è aggiudicata con il nuovo tipo 15T, un tram a tre casse su quattro carrelli tutti motori. Il pavimento da 350 mm sale a soli 450 mm al di sopra dei carrelli, attraverso rampe. Alle estremità le zone rialzate sono piccole, perché gli sbalzi sono molto corti, per cui la zona al di sopra del carrello di testa è per lo più occupata dalla cabina di guida. Presentato a Innotram 2008 (fig. 25), al tipo 15T è stata attribuita la denominazione commerciale ForCity. Allo stesso tempo stanno entrando in servizio a Riga i primi 15T di una serie di 20 (con opzione per altri 32). In questo caso, data l'orografia pianeggiante della capitale della Lettonia, un carrello non è motorizzato.
Ancorché non si tratti di "veri" carrelli, si segnala il ritorno dello schema dei GT6N/GT8N. Dopo anni di sostanziale oblio, l'architettura con un carrello in mezzo a ciascuna cassa è stata ripresa dal Combino Plus, ovvero la nuova generazione del tram standard di Siemens, dopo la disavventura delle casse in lega leggera avvitate del Combino originario (le casse del Combino Plus sono in acciaio ad alta resistenza). I carrelli sono ancora quelli del vecchio Combino (fig. 9), che avevano dato buona prova, ma ora hanno un certo grado di libertà rispetto alle casse. Queste sono accoppiate due a due e nell’articolazione fra le due casse di ciascuna unità è collocato un sistema idraulico di stabilizzazione della marcia (ricordiamo che, con questa configurazione di rotabile, l’insieme delle casse è richiamato elasticamente in posizione). La prima fornitura del Combino Plus è stata di 40 esemplari tipo GT12N per Budapest; con i loro 54 m, sono i tram più lunghi del mondo. Proprio il desiderio di onorare questo contratto, acquisito nel 2003 (ancora in epoca del vecchio Combino), ha indotto Siemens a recedere dall'intenzione inizialmente manifestata di uscire completamente dal settore del tram. Il Combino Plus è stato recentemente ribattezzato "Avenio". Dopo anni di incrollabile fede nei tram multiarticolati, nel 2009 Alstom ha presentato il nuovo carrello "Ixège" (fig. 26), un carrello che ruota per realizzare rotabili a pavimento tutto basso con casse lunghe. Denominata X-04 (dove X è il numero delle casse: 2, 3 o 4), questa nuova gamma di rotabili intende migliorare la qualità di marcia sulle tranvie con binari non perfetti o dove siano richieste velocità elevate (tram-treni). La limitatissima altezza del carrello, che pure è dotato di entrambi gli stadi di sospensione (più le ruote elastiche), si deve anche all’adozione di motori di trazione a magneti permanenti. Dopo un’estesa sperimentazione, compresa la circolazione sulla rete tranviaria di Katowice (Polonia), le prime applicazioni del nuovo carrello sono 37 tram per Istanbul e una serie di tram-treni Citadis Dualis per la SNCF. Nei primi, con ruote del diametro di 590 mm, il pavimento al di sopra dei carrelli Ixège è a 450 mm dal piano del ferro; nei tram-treni, con ruote del diametro di 740 mm, il pavimento è a 530 mm.
Non sarebbe stato più semplice valorizzare i tram a pavimento medio-basso che hanno sempre fatto parte della gamma di Alstom? Ricordiamo che i vecchi carrelli tipo Magdeburg (così come gli analoghi carrelli motori di Siemens e Bombardier) già permettevano di avere il pavimento a circa 580 mm. Il relativamente piccolo guadagno ìn altezza, conseguito a costo di una notevole complicazione del carrello lxège, permette di risolvere i dislivelli all’interno dei rotabili tramite rampe, senza gradini, per cui i rotabili stessi possono essere classificati a pavimento tutto basso. Evidentemente il nuovo prodotto, lanciato anche con un occhio dl riguardo all'est Europa, intende accontentare comunque i clienti che continuano a richiedere il 100% di pavimento basso. Alstom dichiara che è il primo carrello pivotante (come dicono in franco-anglo-italiano) che unisce anche la caratteristica del pavimento basso. E i prototipi Socimi del 1989 e Firema-Fiat del 1991?! (16) L’industria italiana era partita da lì, 20 anni fa! Tornando ai rotabili a pavimento medio-basso, il ritorno di interesse verso di essi è dovuto anche al concetto del tram-treno. Nessuno se l’è sentita di mandare un tram multiarticolato su una ferrovia a 100 km/h. L’Avanto di Siemens, i Regio Citadis e Citadis Dualis di Alstom, i Flexity Link e Flexity Swift di Bombardier; il Trentram di Vossloh-Alstom per Alicante sono di fatto grossi tram a pavimento medio-basso, che sfruttano i carrelli motori "a sogliola" a suo tempo sviluppati. Da una brochure di uno dei tram citati prima, prodotto da un grande costruttore che fino a ieri, con la stessa enfasi, vantava le qualità del tram standard multiarticolato, si legge: La disposizione del carrello (che ruota, ndr) comporta che sui binari siano esercitate forze laterali molto ridotte in confronto alla convenzionale architettura di tram multiarticolato. Omissis... (il nome del tram, ndr)... ha eccellenti caratteristiche di marcia, anche su rotaie usurate. I benefici sono ottima qualità di marcia, minima sollecitazione della struttura meccanica in curva e, di conseguenza, ridotta usura ruota-rotaia... con l’inevitabile conclusione che il tram in questione è il meglio. A parte lo sconcerto nel vedere definita "convenzionale" l’architettura dei tram multiarticolati da parte di un costruttore che fa tram da sempre, non può che fare piacere che abbiano "scoperto" i carrelli. Meglio tardi che mai! 6. E in Italia? Abbiamo dunque visto come, dato l’interesse di alcune fra le maggiori reti tramviarie europee (17), alcuni dei maggiori costruttori sono tornati a sviluppare tram con carrelli - almeno quelli motori - che ruotano. In Italia sembra che non ce ne sia ancora accorti; quasi nessuno osa pensare a qualcosa di diverso dal tram a pavimento tutto basso e, quindi, multiarticolato. Eppure, considerate le tortuosità delle tranvie attraverso i tessuti urbani italiani, sarebbe il caso di pensarci. Finché i capitolati continuano a porre il 100% di pavimento basso come requisito assoluto, i tram a pavimento medio-basso non hanno chance. Queste modeste note vogliono dare un contributo affinché i decisori - politici, addetti ai lavori, costruttori - abbiano un approccio verso il pavimento basso meno semplicistico. Speriamo di avere dimostrato che l’equazione pavimento basso=tram articolato, oltre ad essere fallace da sempre, non è neanche più trendy. ______________ Note. (*) Dott. ing. Sergio Viganò, Metropolitana Milanese. Fonti delle immagini presentate nel testo. Fig. 4: Socimi; figg. 6, 19: Bombardier; fig. 9: Bombardier, Siemens, Alstom, Ansaldo-Breda, Bombardier; figg. 13, 16, 20, 26: Alstom; fig. 17, Siemens; fig. 18, Firema; fig. 22: DVB; fig. 23: Hamster (http://hampage.hu); fig. 24: Swiss Traffic. Bibliografia G. Klaus Koenig, Il tram a pianale ribassato: storia e sviluppi, in Ingegneria
Ferroviaria, maggio 1985; Tram d'avanguardia, in iTreni, n. 100, gennaio
1990. |
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TramRoma, ©1999-2023 - Curatori: Dario Giacomini, Mauro Di Pietrantonio |
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Ultimo aggiornamento: sabato 10 febbraio 2024 |