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La storia del trasporto pubblico di Roma raccontata con passione e per passione. Sito fondato da Vittorio Formigari, online dal 1999

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La rete romana degli omnibus

DAL 1870 AL 1885

     
  Con la proclamazione di Roma a capitale del regno d’Italia (20 settembre 1870)  le notizie si fanno più certe, anche perché i grandi cambiamenti che questa proclamazione comporta (aumento della popolazione residente, progetti per nuove edificazioni, sistemazioni urbanistiche, etc), smuovono numerosi interessi politico-economici anche nel campo dei trasporti pubblici.  
     
  Il 17 dicembre successivo, quando mancano dieci giorni alla promulgazione di un primo regolamento - troviamo quattro esercenti di linee omnibus e carrozze pubbliche (Giovanni Negri, Vincenzo Natili, Tommaso Negri e Vincenzo Gueirazza), che indirizzano al principe Pallavicini, commissario provvisorio del comune in attesa delle elezioni, la comunicazione di essersi uniti in una nuova Società Romana degli Omnibus (SRO), con capitale sociale di 1.000.000 di lire in 4000 azioni da 250 lire ciascuna "allo scopo di attivare pubbliche corse regolari e giornaliere di omnibus, specialmente fra il centro e le parti esterne della città, percorrendone le vie principali; "...il capolinea centrale è individuato in piazza Montecitorio, "...da dove ogni quindici minuti partiranno degli omnibus diretti alle principali porte della città ed alla piazza del Vaticano, dalle quali località ai medesimi intervalli partiranno altrettanti veicoli diretti alla stazione centrale...", a fronte di una tariffa unica di 15 centesimi. Una seconda lettera lascia intendere che i quattro imprenditori ora citati erano intenzionati a prevenire le mire di una società già esistente, la Impresa Generale degli Omnibus per la Capitale d’Italia: " …essendo venuti in cognizione che la Impresa già esistente in Firenze possa avere inoltrato pratiche sul medesimo soggetto si legge in questa lettera, fanno osservare che sarebbe un paralizzare in massima le iniziative industriali della prima città del Regno".  
     
  Ed in effetti tale impresa, nella persona del suo presidente, ing. Augusto Sardè, "… prevedendo che il traslocamento della Capitale in Roma le imporrà di andare a ricercare in codesta città l’alimento del quale essa si troverà in gran parte privata, si volge fiduciosa a codesto Onorevole Municipio, pregandolo a volerle accordare la concessione per l’esercizio dell’Impresa stessa in Roma".  
     
  Quasi tutti gli imprenditori romani (e qualche forestiero), propongono modifiche e miglioramenti al servizio degli omnibus (percorsi, vetture, tariffe), anche ottenendo facilitazioni sul problema delle spese di mantenimento dei mezzi di trazione. Un certo Giovanni Muzi, titolare di "...un servizio di omnibus pel comodo di quei viaggiatori che non dimorando nelle pubbliche locande sono costretti per trasportarsi alla stazione della Ferrovia e viceversa, a servirsi di vetture pubbliche" ottiene il 17 novembre del 1870 l’esenzione dal pagamento della tassa sui cavalli per i soli capi della sua scuderia effettivamente necessari all’esercizio della linea, offrendo come contropartita "...la modica somma che l’oratore stabilisce pei trasporti in questione" (non tanto modica, poi, dal momento che la tariffa fissa per questo servizio è di ben 30 centesimi, il doppio di quanto propongono gli imprenditori associati. L’Impresa di Francesco Fedeli propone una tariffa di 25 centesimi per una linea di omnibus "...da piazza delle Carrette per via Alessandrina, Colonna Traiana, e fermandosi due minuti sulla piazza di San Marco, riprendendo il cammino via delle Botteghe Oscure, piazza Tartaruga, via dei Falegnami, San Carlo ai Catinari, Giubbonari, Campo de' Fiori, via del Pellegrino, Santa Lucia del Gonfalone, piazza di Ponte S. Angelo e fino a piazza San Pietro...", un itinerario non indifferente per il quale si prevede anche il costo di 15 centesimi per la mezza corsa fino a Campo de' Fiori.  
     
  Addirittura 35 centesimi li pretende invece un certo Giuseppe Santini per una non meglio identificata linea "da e per la Ferrovia Centrale", della quale non viene specificato l’itinerario.Quasi tutti gli imprenditori romani (e qualche forestiero), propongono modifiche e miglioramenti al servizio degli omnibus (percorsi, vetture, tariffe), anche ottenendo facilitazioni sul problema delle spese di mantenimento dei mezzi di trazione. Un certo Giovanni Muzi, titolare di "...un servizio di omnibus pel comodo di quei viaggiatori che non dimorando nelle pubbliche locande sono costretti per trasportarsi alla stazione della Ferrovia e viceversa, a servirsi di vetture pubbliche" ottiene il 17 novembre del 1870 l’esenzione dal pagamento della tassa sui cavalli per i soli capi della sua scuderia effettivamente necessari all’esercizio della linea, offrendo come contropartita "...la modica somma che l’oratore stabilisce pei trasporti in questione" (non tanto modica, poi, dal momento che la tariffa fissa per questo servizio è di ben 30 centesimi, il doppio di quanto propongono gli imprenditori associati.  
     
  L’Impresa di Francesco Fedeli propone una tariffa di 25 centesimi per una linea di omnibus "...da piazza delle Carrette per via Alessandrina, Colonna Traiana, e fermandosi due minuti sulla piazza di San Marco, riprendendo il cammino via delle Botteghe Oscure, piazza Tartaruga, via dei Falegnami, San Carlo ai Catinari, Giubbonari, Campo de' Fiori, via del Pellegrino, Santa Lucia del Gonfalone, piazza di Ponte S. Angelo e fino a piazza San Pietro...", un itinerario non indifferente per il quale si prevede anche il costo di 15 centesimi per la mezza corsa fino a Campo de' Fiori. Addirittura 35 centesimi li pretende invece un certo Giuseppe Santini per una non meglio identificata linea "da e per la Ferrovia Centrale", della quale non viene specificato l’itinerario.  
     
 


Corso Umberto I, altezza largo Chigi

 
 

   
Da sinistra, nella scomparsa via Arco dei Pantani, in piazza San Marco e piazza Venezia

 
     
  A spuntarla è Francesco Marini, un grande imprenditore agricolo che è sceso a Roma da Alfonsine (Ravenna), dove possiede 48 poderi messi insieme da suo nonno e suo padre e che amministra da solo avendo il fratello Luigi preso i voti religiosi. Perché il Marini lascia tutto in mano ad un amministratore per gestire tre carrozze e una stalla di cinque cavalli è presto detto; a Roma è stato chiamato dal suo futuro consuocero Vincenzo Tittoni, esule a Napoli per attività cospirativa contro lo stato Pontificio, che gli da il compito di preparare il terreno per costruire un monopolio sulla rete di trasporto della futura capitale. Nel 1871 promuove la costituzione della Impresa Romana degli Omnibus, che non è una vera e propria azienda ma una sorta di associazione temporanea d’impresa (per usare un termine moderno), che riunisce otto linee ed altrettante ditte, alcune gestite a carattere familiare.  
     
  Il 5 maggio 1871 l’Impresa Romana sottoscrive una convenzione col comune di Roma che prevede l’ampliamento della rete a quindici linee servite da non meno di cinque vetture ognuna, con tariffa massima di 15 centesimi frazionabile, sulle linee più lunghe, a tratte del costo di 10 centesimi.  
     
 

 

 
 

Da sinistra: Francesco Marini (1826-1898) e Vincenzo Tittoni (1830-1870)

 
     
  Il consiglio comunale da parte sua provvede a regolamentare il servizio, e in due sedute (30 novembre, 13 dicembre 1871), approva un articolato Regolamento di esercizio. A seguito di questa approvazione (seduta del 30 settembre 1872) la Giunta stabilisce «di mettere a servizio del pubblico 50 omnibus solidi e decenti, con personale uniformato e con un numero di cavalli adeguato ai bisogni del servizio, e con finimenti convenienti, il tutto da riconoscersi ammissibile dai periti comunali prima di porsi in circolazione; di mantenere costantemente i suddetti omnibus al servizio interno della città in ogni e qualunque circostanza, dalle ore 7 antimeridiane alle ore 10 pomeridiane in estate, e dalle 8 antimeridiane alle 9 pomeridiane d’inverno. Tutto ciò per altro in via di esperimento, non oltre tre mesi, e con la dichiarazione formale che con tale concessione non s’intende stabilire una privativa di strade a favore della Società Romana, volendo il Comune stesso riservargli su tale progetto piena e intera libertà d’azione, nell’interesse del pubblico, e scevra da ogni vincolo nell’esercizio della sua giurisdizione».  
     
  Pochi mesi dopo è presentato un primo piano di riordino della rete, che prevede la circolazione di circa 100 vetture lungo una rete di 14 linee, in gran parte già esistenti e in parte modificate nel tracciato, con due relazioni di nuova istituzione, da affidarsi nel numero di otto all’Impresa Romana Omnibus, mentre le altre sarebbero state affidate ai primi imprenditori che, possedendo i requisiti richiesti dal regolamento, ne avrebbero fatto domanda, ma un decreto del Ministro dell’interno, che si fa forza di un parere del Consiglio di stato, impugna lo stesso regolamento, poiché "invade le attribuzioni che l’art. 57 della Legge di Pubblica Sicurezza 20 marzo 1865 ha assegnato all’Autorità politica locale". Il regolamento, in altre parole, "pone un vincolo troppo restrittivo, non giustificato dal servizio, e contrario alla libertà dell’industria".  
     
  La giunta, nell’attesa di elaborare una serie di modifiche da sottoporre all’approvazione del Consiglio, decide di rinnovare fino a tutto il successivo mese di febbraio la convenzione in scadenza con l’Impresa Omnibus, anche se "essendosi poi richiesta una simile concessione anche dalla Società Generale degli Omnibus, che ha richiesto l’occupazione nei punti da stabilirsi, dalla piazza del Gesù come Stazione Centrale esclusiva per gli omnibus di detta società, l’adunanza annuisce colle identiche condizioni, imposte ed accordate alla surriferita società Romana".  
     
 
Di questa Società Generale degli Omnibus non sappiamo nulla di preciso. Del suo consiglio di amministrazione, un documento di origine comunale nomina un tale Francesco Giuseppe Giorgi, che in data imprecisata avrebbe sottoscritto un accordo col comune per l’occupazione del suolo pubblico nella piazza del Gesù: il condizionale è d’obbligo, dal momento che nell’inventario dei contratti e delle convenzioni non esiste tale documento, né è stato possibile rintracciare un atto costitutivo presso l’Archivio notarile distrettuale di Roma. Chi scrive, visto il clima politico-affaristico che girava attorno a tali industrie a quei tempi, ritiene che si tratti di un impresa costituita ad hoc per aggirare il veto ministeriale e non compromettere il consistente movimento di capitali, qualche milione di lire dell’epoca, messo in campo da ambo le parti (comune e Impresa Omnibus).
 
     
  Le modifiche apportate al regolamento, adottate nella seduta del 25 maggio 1873, sono elencate a seguire:  
 
  Art. 2. Si decide di accettare la soppressione della prima parte, laddove l’autorità comunale avoca a sè il diritto di concedere le licenze, con la motivazione che un controllo sul numero degli esercenti si sarebbe potuto esercitare con le modifiche al successivo art. 3; al comune rimane, quindi, la facoltà di esercitare la sola sorveglianza sul servizio, limitatamente al rispetto delle normative di sua prerogativa
  Art. 3. Viene modificato come segue. "La giunta municipale determina la località ed assegna lo spazio pel trattenimento delle vetture pubbliche e delle vetture-omnibus, previo il pagamento della tassa di posteggio"
  Art. 4. Viene considerata assurda la pretesa del ministero di non potersi imporre da parte del comune un controllo sull’idoneità e sulla buona condotta del richiedente: viene proposto che lo stesso debba esibire la licenza di Pubblica sicurezza per ottenere quella di Polizia urbana, una disposizione che avrebbe consentito di esercitare un ulteriore controllo, ma prevalse l’opinione che ognuno poteva e doveva essere libero di munirsi di entrambi i documenti senza una precedenza dell’uno o dell’altro e che anche questa disposizione non sarebbe stata accettata dal momento che il ministero  "...si è pur mostrato geloso delle competenze della Questura". Viene quindi accettata la soppressione della disposizione di cui al punto b) di questo articolo, che diventa il 4 in sostituzione dell’articolo soppresso.
  Artt. 7 e 51. In entrambi viene aggiunta la frase "per occupazione di suolo pubblico" dopo la parola "licenze" e diventano gli art. 6 e 49. Cosi facendo il comune non interferisce con le disposizioni di legge riservandosi però di decidere se accettare o meno le richieste di stazionamento delle vetture nelle pubbliche vie e per quali motivazioni le stesse possono essere sospese.
  Art. 10. Diviene l’art. 9: dopo la parola "licenze" si aggiungono le parole "di cui sopra", collegando questa disposizione con quella dell’ex art. 7.
  Art. 15. Il comune mantiene l’obbligo di una numerazione unica per ogni vettura e continua a mantenere l’autorità di assegnarla: con la soppressione delle parole "per cura dell’ufficio di Polizia urbana", tuttavia, il nuovo art. 14 lascia al proprietario la facoltà di provvedere in proposito per proprio conto.
  Art. 87. Viene modificato come segue: i proprietari delle vetture-omnibus vanno soggetti alle disposizioni prescritte da questo regolamento ai proprietari delle vetture pubbliche, tranne il prezzo della tassa posteggio (in luogo dell’espressione "tassa licenza", n.d.a.) che per questa grandiosa specie di veicoli è doppia,e diventa art. 85
  Art. 89. Viene accettata la soppressione del primo comma, che richiama la facoltà del comune di concedere le licenze e fissarne la durata, e solo dopo una lunga discussione anche il disposto di cui alla lettera a) del secondo comma.
 
     
 

 
Omnibus sotto il Campidoglio, in piazza del Popolo e in via Giulia

 
     
  Com’è facile notare il comune decise di aggirare l’opposizione del Ministero degli interni giocando con le parole. Le disposizioni rimasero pressappoco le stesse, cambiava più che altro la forma del controllo esercitato o anche del tributo da pagare con la rinuncia a quegli aspetti del regolamento stesso che nemmeno cambiando le parole o mitigandone il disposto avrebbero mai potuto superare l’ostacolo della legge. Si recepisce l’abolizione del fondamentale articolo 88, che accentra nelle mani del comune il fondamentale aspetto del controllo sull’intero servizio, che continua ad essere esercitato in regime di libera imprenditoria, ma si aggiunge furbescamente l’espressione per occupazione di suolo pubblico, dopo la parola licenze, negli articoli 7 e 51. Altrettanto geniale è l’idea di trasformare la tassa di concessione in tassa di posteggio, collegandola al principio della potestà comunale sull’occupazione del suolo pubblico.  
     
  Di fatto quest’ultimo non interferirebbe più col disposto della legge di pubblica sicurezza ma il condizionale è d’obbligo, perché il contenzioso col Ministero degli interni si riapre poco tempo dopo, con un ulteriore richiamo al principio della libertà delle industrie.  
     
  Il 19 luglio successivo, infatti, il consiglio comunale deve prendere atto di una comunicazione della prefettura piuttosto perentoria, che rinvia nuovamente il regolamento ad un nuovo esame "giacché le disposizioni sulla licenza, revoca e sospensione da tale esercizio non furono esattamente riformate a senso del D.M. (decreto ministeriale, n.d.a.) del 1872, in cui è chiaramente esposto che non all’autorità municipale, ma a quella di P.S. compete di accordare le relative licenze". La concessione di licenze di occupazione di suolo pubblico, la possibilità della loro sospensione o revoca, seppur motivata, ed ancora lo stesso principio che le trasgressioni al regolamento possano essere punite con la sospensione o la revoca della concessione municipale (articoli 8, 9 lettera c e 45), sono considerate come contrarie alla solita legge di pubblica sicurezza, e a fronte di questo secondo richiamo il Consiglio comunale decide di arrendersi. Stante l’impossibilità di superare lo scoglio, si decide di aggirarlo recependo le richieste della Prefettura, anche per dare finalmente operatività al regolamento, almeno nei punti e nei principi non contestati.  
     
  Concorre certamente, in questa decisione, il sommovimento di progetti, richieste di nuove concessioni e proposte di miglioramento al servizio che nei due anni trascorsi si sono via via accumulati. L’unione operativa promossa dalla ditta Marini, infatti, aveva nel frattempo cominciato a produrre i primi frutti, tra i quali l’attivazione di nuove linee e il rinnovo di parte del parco rotabile, incrementato con carrozze di più recente produzione e più capienti: il miglior servizio di questa prima società romana aveva indotto gli altri esercenti ad adeguarsi ai nuovi standard, anche se non tutti avevano un buon capitale da investire nel rinnovamento, ma si stava timidamente affacciando anche la possibilità di poter sfruttare il principio della ferrovia nell’esercizio del trasporto urbano.Con la presa di Roma e la conseguente definitiva unificazione italiana, si era infatti avviata un opera di cucitura delle linee ferroviarie con sempre nuovi tronchi, e l’aumento del traffico da e per Roma aveva posto l’improcrastinabile necessità di adeguare tracciati, stazioni e materiale rotabile alle nuove esigenze.  
     
  Si stava sviluppando anche in questo campo l’iniziativa privata, che seppure produce poco o nulla a Roma e nel Lazio prima del 1900, certamente concorre con decine di progetti, seppure destinati a rimanere tali, ad accelerare e condizionare le scelte: anche se ognuno tira l’acqua al proprio mulino tutti vogliono attestare questa o quella linea alle porte della città, seguendo l’esempio delle prime ferrovie per Frascati e Civitavecchia, attestate fuori Porta Portese e Porta Maggiore. In alcuni progetti si parla addirittura della possibilità di varcare lo stesso confine delle mura, seguendo in ciò l’esempio della prima stazione Termini, che pure fu edificata in una zona costituita per lo più da ville e orti. Quel che appare certo è che di lì a poco le nuove stazioni necessiteranno di un servizio ben più comodo e affidabile della semplice carrozza, anche per l’indotto lavorativo e il conseguente pendolarismo di chi lavora per le ditte specializzate nei trasporti e nei servizi di stazione.  
     
  Gli interessi in ballo sono tanto cospicui che nel 1876 il Consiglio di stato deve prendere atto che le norme relative alla libertà delle industrie, che tanto aveva difeso emanando parere contrario (anche), al nuovo regolamento adottato a Roma, se da una parte fanno salvo il principio stesso, dall’altra impediscono un vero ed effettivo sviluppo dei pubblici trasporti alle esigenze in continuo mutamento. Viene ammesso "senz'altra riserva alcuna" il regolamento del 1871, cosicché emergono e si affermano due importanti novità: il decentramento delle competenze e una primitiva propensione (anche se indiretta) al principio del monopolio gestionale della rete.  
     
 

 
Omnibus in Corso Umberto

 
     
  Subito dopo il parere del Consiglio di Stato, il 27 marzo 1876, viene indetta una gara d’appalto per una rete in parte rinnovata di 11 linee, per un impiego complessivo di 55 omnibus e cosi articolata (i numeri tra parentesi indicano il numero di vetture da impiegare sulla singola linea):  
     
  1  - da p. Venezia a p. del Popolo per v. del Corso (6);
2  - da p. Venezia a S. Pietro per v. del Governo Vecchio (9);
3  - da p. Venezia a p. S. Giovanni per p. delle Carrette (5);
4  - da p. Venezia a p. S. Francesco a Ripa per ponte Sisto (6);
5  - da p. Venezia a Termini per v. delle Muratte (5);
6  - da p. Venezia a S. M. Maggiore per v. Madonna de' Monti (6);
7  - da p. S. Pantaleo a p. del Popolo per v. di Ripetta (4);
8  - da p. S. Lorenzo in Lucina a S. Pietro per v. Tor di Nona (4);
9  - da p. S. Lorenzo in Lucina a p. Barberini per v. Frattina (2);
10 - da p. del Popolo a p. Barberini per v. del Babuino (4);
11 - da p. S. Francesco a Ripa a San Pietro per v. della Lungara (4)
 
     
  Le condizioni della gara sono fin troppo rigide: gli esercenti devono applicare la tariffa unica di 10 centesimi, salvo che sulle linee 2, 3, 4 e 5, sulle quali la tariffa è stabilità in 20 centesimi, e devono impegnarsi ad applicare il sovrapprezzo festivo sulle sole linee a tariffa ridotta. Sulle stesse linee 2, 3, 4 e 5, inoltre, è prevista la tariffa di mezza corsa di dieci centesimi per i viaggiatori che da uno dei due capolinea non supereranno, rispettivamente, le fermate di piazza dell’Orologio della Chiesa Nuova, piazza delle Carrette, piazza Barberini e Ponte Sisto. Le licenze vengono accordate linea per linea ai primi esercenti che ne fanno domanda, previo contemporaneo esame da parte di un perito tecnico del richiesto numero di carrozze, aumentato di ulteriori due vetture da impiegarsi come riserve, ma viene anche stabilito di concedere il diritto di prelazione sulle linee già esistenti, seppure in parte modificate, alle ditte che già le esercitano  
     
  Quest'ultima condizione favorisce palesemente la ditta Marini, ovvero la Impresa Generale degli Omnibus attiva fin dal 1871, che già esercita quasi la metà del servizio inteso come numero di linee, quantità di materiale e personale impiegati. In effetti è quest'ultima ad aggiudicarsi 8 delle 11 linee previste, ma questo non impedisce al comune di continuare a rilasciare concessioni a soggetti diversi.  
     
 

       
Castel S. Angelo; Il capolinea di piazza del Popolo davanti alla chiesa degli artisti; traffico stradale in corso Umberto I

 
     
  Ha fatto intanto la sua comparsa la tramvia a cavalli, che con il suo rapido sviluppo segna l'inizio della fase discendente per l'omnibus. In vista dei cambiamenti che le tramvie a cavalli porteranno, il Marini rileva il pacchetto azionario della mai liquidata Società Anonima Romana degli Omnibus e con l'apporto di capitali di varia provenienza (tra i quali la partecipazione della Società delle Strade Ferrate Romane) il 2 marzo 1880 costituisce la Società Romana Omnibus (SRO), nella quale confluiscono le ditte che avevano dato vita all'Impresa Romana degli Omnibus del 1871, la Impresa dei Trasporti di San Paolo e la Impresa Tramways.  
     
 

Nell'attesa di tempi più propizi allo sviluppo del servizio tramviario, la SRO, approssimandosi la scadenza della convenzione stipulata nel 1876 con l'impresa Marini, apporta notevoli miglioramenti al servizio degli omnibus, combattendo al tempo stesso una dura battaglia contro i piccoli esercenti che non hanno voluto o potuto partecipare alla costituzione della nuova azienda.

 
     
 
La costituzione della SRO non è stata un'operazione semplice. Più o meno contemporaneamente alla sua costituzione la giunta comunale ha avviato una trattativa coi rappresentanti della categoria dei vetturini (gli esercenti di vetture pubbliche e delle linee omnibus rimaste in esercizio ai singoli privati), che però non recedono dalle loro posizioni, ed anzi si appellano ai principi liberisti dell'ordinamento del regno contro il costituendo regime di monopolio della SRO.
Il consiglio comunale deve addirittura proporre ricorso alla procura del Re contro la seconda sezione del consiglio di cItato, che dietro pressioni interessate (e contro il parere a sezioni riunite espresso nel 1876), ha impugnato la delibera della giunta che riconosce l'avvenuta trasformazione dell'impresa Marini nella neo costituita SRO. Il procuratore generale rinvia il ricorso al consiglio di stato dal momento che nessuna azione è proponibile nei confronti dell'azienda detta Società Romana, poiché il presunto monopolio delle linee da alcuni ravvisato è conseguenza della maggiore ricchezza della stessa società, che è libera di esercitare secondo le proprie possibilità tecniche ed economiche nel pieno rispetto della concorrenza tra le industrie private interessate.
Il consiglio di stato, con un nuovo parere espresso a sezioni riunite, ribadisce che trattandosi di un industria affatto speciale, subordinata al permesso di occupare il suolo pubblico, con norme e condizioni coordinate allo scopo d'impedire imbarazzi ed ingombri a danno della circolazione, non sembra il caso d'invocare per il servizio degli omnibus il principio della libertà industriale e l'interesse particolare del servizio contro l'interesse generale e prevalente della circolazione libera e sicura, e contro il diritto di tutelarla con norme e cautele necessariamente restrittive.
 
     
  L'industria degli omnibus, d'altronde, è tutt'altro che produttiva, come viene detto nel preambolo della delibera comunale n. 83 del 22 maggio 1882: «Scaduta in questo 1882 la convenzione stipulata nel 1876 col signor Francesco Marini allo scopo di rendere più stabile e decoroso il servizio degli omnibus nella città di Roma, s'intavolavano trattative per rinnovarla, emendandola però in quelle parti che l'esperienza avea dimostrato insufficienti, imponendo una cauzione [multa, n.d.a.] per l'osservanza dei patti, aggiungendo all'impresa esercente nuovi oneri di servizio, e procurando anche all'erario comunale qualche beneficio pecuniario. L'industria degli omnibus negli ultimi anni, mercè anche i miglioramenti introdottivi, si è fatta assai produttiva, onde non potevasi, nel rinnovare la convenzione, non tener conto di tale stato di cose, tanto più che il Comune, concedendo l'occupazione del suolo pubblico agli omnibus in esercizio, da a quest'industria il mezzo principale del proprio sviluppo  [...]  Il Comune si riserva di autorizzare durante la presente concessione, e sempre che lo creda opportuno, l'apertura di nuove linee d'omnibus, e di fare in ogni tempo e a chicchessia concessioni di tramways o locomobili a vapore o di altri mezzi nuovi di locomozione, nella città ed anche sulle stesse linee, in tutto o in parte percorse dagli omnibus».  
     
  A gravare in modo particolare sui bilanci sono le spese per il mantenimento dei cavalli (continuo ricambio, foraggiamento e ferratura, voci che assorbono oltre la metà del bilancio sociale) e quelle per il personale addetto alle stalle (ma si ricorre allo sfruttamento del lavoro minorile: ragazzini quattordici-sedicenni con la qualifica di stallino o mulattiere, per lo più figli dei conduttori e dei cocchieri, che lavorano fino a 13 ore al giorno con salari da fame), ma anche i tempi di percorrenza cominciano ad apparire sempre più eccessivi; il graduale decentramento delle abitazioni rispetto ai luoghi di studio o di lavoro porta alle prime forme di protesta per l'insufficienza del servizio in determinate fasce orarie, ma sotto accusa sono anche i limiti intrinseci dell'omnibus, che limita l'esercizio delle linee a percorsi non superiori ai 3000, 3500 metri.  
     
  Non esiste poi che la tariffa di corsa semplice (che tra le altre cose va sempre più aumentando), non sono previsti abbonamenti o biglietti di corrispondenza tra una linea e l'altra e una media di 40-60 centesimi al giorno per andare al lavoro diventano un vero e proprio salasso per la maggior parte degli utenti abituali.  
     
 

   
Vetture omnibus ai capilinea di piazza Navona e piazza Montanara; in transito sul ponte Garibaldi e a piazza Colonna

 
     
  Nonostante questi problemi la SRO non può fare a meno di accollare al proprio bilancio alcune condizioni che il comune impone per il rinnovo della concessione di una rete rinnovata di 17 linee, per la quale si prevede l'impiego di non meno di 150 omnibus. Queste gravose condizioni, peraltro scrupolosamente rispettate, espongono il bilancio della SRO a un debito complessivo che all'assemblea degli azionisti del 13 luglio1884 viene quantificato in 988.300,75 lire. La stessa assemblea approva un ordine del giorno all'unanimità che impegna il consiglio d'amministrazione a intavolare una trattativa col comune per rivedere le condizioni della convenzione.  
     
  Il consiglio comunale, dal canto suo, prende tempo e istituisce un apposita commissione con l'incarico di presentare una proposta di riordino dell'intero servizio di pubblico trasporto, che contempli la possibilità di estendere ulteriormente il servizio delle tranvie.  
     
  La commissione, nel marzo 1885, presenta una relazione nella quale è specificato che «...la convenzione proposta non pare accettabile per la concessione di 14 linee invece di undici, come fu per il passato: questo per il vincolo che il Comune s'impone di non concedere nessun altra linea che coincida per 1/6 di percorso con alcuna di quelle esercitare dal concessionario, e per lo spazio di trent'anni per il quale questa concessione dovrebbe durare, essa si risolve in un monopolio della mobilità di Roma accordato ad un unico privato. Chi può rispondere che il Concessionario che presenta oggi e per i presenti bisogni una solidità pienamente soddisfacente, sarà ugualmente in grado di rispondere ai bisogni per ora impreveduti e imprevedibili fra 20 o 30 anni?».  
     
  Il comune accorda la convenzione alla SRTO per cinque anni, ma in virtù di quanto ora detto si riserva il diritto di concedere ulteriori linee, sia omnibus che tram, ad altre aziende, purché non concorrenti ai servizi della società, allo scopo di impedire un servizio gestito «da privati e piccole società, le quali disponendo ciascuna di piccoli capitali e di materiale limitatissimo si dividevano le principali linee della città, usufruendole in misura ed in proporzione che offrivano loro maggior guadagno, e quindi con poco riguardo e soddisfazione soprattutto nelle linee e per le ore meno produttive del pubblico servizio».  
     
  La decisione del comune scontenta naturalmente un po' tutti, la SRTO che combatte con un bilancio sempre meno soddisfacente, i gestori privati che ne temono sempre più il monopolio, ma sono anzitutto i romani a non gradire la situazione dei trasporti: la lentezza e la scarsa capacità degli omnibus sono sempre meno tollerate man mano che la città si amplia, ma l'apertura di nuove linee tramviarie è ostacolata, oltre che dalla difficile viabilità cittadina, dalla potente associazione dei vetturini romani, che con la scusa del danno estetico apportato dalle rotaie minacciano di far venire meno consensi elettorali qualora il comune ne autorizzi la costruzione.  
 
 
 

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Ultimo aggiornamento: venerdì 30 agosto 2024