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La storia del trasporto pubblico di Roma raccontata con passione e per passione. Sito fondato da Vittorio Formigari, online dal 1999

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Diligenze e omnibus: quando si andava a cavallo

LE DILIGENZE NELLO STATO PONTIFICIO

     
 

   

 
 

Orari e ricevuta di spedizione dell'Impresa delle dirigenze pontifice di Liborio Marignoli

 
     
  Nella sua storia millenaria lo Stato Pontificio non ha mai avuto una legislazione univoca, valida su tutto il territorio nazionale. È una monarchia assoluta senza alcuna separazione dei tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario). Non esistono un governo e un parlamento in senso moderno mentre al vertice dell’amministrazione opera la Segreteria di Stato, presieduta da quattro cardinali: il segretario di stato stesso (affari interni ed esteri), il camerlengo (industria e commerci), il cardinal vicario (polizia dei costumi), e il prefetto della Congregazione del Buon Governo (vigilanza amministrativa sui poteri locali). Subito al di sotto, subordinate al segretario di stato e sempre presiedute da un cardinale, operano le congregazioni dei baroni dello stato (assegnazione, modifica e vigilanza sui possedimenti delle grandi famiglie), dell’abbondanza (annona e grascia), della disciplina regolare (vita e privilegi del clero, amministrazione dei conventi della zecca (monetazione e banche), delle acque (strade, ponti, acquedotti, fontane).

Tutte le nomine e le rimozioni dei cardinali prefetti e collaboratori e del restante personale (tutto rigorosamente ecclesiastico), è ad esclusiva discrezione del papa, al quale spetta comunque l’ultima parola ed ha pieno diritto di influenzarne le decisioni.

 
     
  Lo stesso pontefice, peraltro, è tutt’altro che un monarca assoluto, più spesso è legato alla famiglia di origine e mantiene una rete di clientele, oltre che una pletora di congiunti nei posti chiave dell’amministrazione. La sua elezione è spesso condizionata dalle monarchie cattoliche che, in virtù di un antico privilegio abolito nel 1903,, hanno il diritto di porre il veto sulla elezione di determinati candidati attraverso il cardinale della corona, il protettore delle nazioni cattoliche nominato dal re e utilizzato come suo rappresentante ufficiale presso il sacro collegio. La sua vera autorità, spesso condizionata dagli accordi intercorsi per l’elezione, è solo su Roma e i suoi immediati dintorni, mentre il resto dello stato è di fatto frammentato nei possedimenti feudali delle grandi famiglie aristocratiche, perennemente impegnate in intrighi e lotte di potere tra di loro e coi pontefici rappresentanti di famiglie avverse o provenienti da altri paesi europei.  
     
  Fin da Gregorio II, il primo ad esercitarlo, il pontefice interpreta il potere temporale come una strenua difesa dello status quo ereditato dai suoi predecessori anche perché - al contrario del vero assolutismo monarchico - la sua figura non rappresenta un potere centrale effettivamente contrapposto a quelli locali. Il vero potere è nelle mani dei baroni della chiesa, i feudatari che si dividono il territorio dello stato, caratterizzato da una suddivisione territoriale che non tiene in alcun conto l’omogeneità del territorio e una equa ripartizione degli abitanti, al punto che esiste la divisione tra le terre immediatae subiectae mediatae subiectae alla potestà del papa.  
     
  Questa organizzazione risale alle Constitutiones Egidiane promulgate dal cardinale Egidio Albornoz nel periodo della cosiddetta Cattività avignonese, rimaste in vigore fino alla restaurazione di Pio VII nel 1816.  
     
 

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Papa Gregorio II; il cardinale Egidio Albornoz

 
     
 

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  Alla proclamazione della prima repubblica romana (1798-99), i francesi trovano un ordinamento medioevale basato sul feudalesimo, ormai in vigore da 450 anni, a malapena intaccato dall’azione riformatrice del papa Pio VI, pontefice dal 1775 al 1799. Nell’ottica di salvaguardare il potere temporale rispetto ai grandi cambiamenti in corso ovunque in Europa il papa ha promosso una riforma che dovrebbe portare lo Stato della Chiesa ad uno standard similare a quello degli altri stati preunitari italiani. Prima dell’esilio nella fortezza francese di Valence (dove muore per cause naturali), mette in cantiere una generale ristrutturazione della rete stradale che prevede, tra gli altri provvedimenti, la variante della via Appia da Roma a Terracina, l’attuale via Appia Nuova coi ponti di Ariccia, di San Rocco e Galloro. Le diligenze che dovrebbero percorrerle, tuttavia, sono alla stessa epoca praticamente scomparse. Il governo pontificio, che ha varato una grande riforma del sistema postale nel 1484 con l’istituzione dei “mastri di posta” (i responsabili nazionali del servizio), fa circolare proprie diligenze già nel 1607, anno in cui una berlina in servizio tra Roma e Bologna viene assaltata da banditi in località la Cosina, oggi frazione di Faenza.  
     
 
Le carrozze postali trasportano anche viaggiatori ma la scarsa documentazione attualmente reperibile non consente di ricostruire numero di linee e percorsi. Gli atti dell’inchiesta sull’assalto descrivono invece, e con accuratezza, tipo e peso dei carichi di merci che venivano trasportate all’epoca.

La diligenza che parte da Roma il sabato 26 giugno 1607 e diretta a Bologna» scrive Miro Gamberini, «porta nella “valigia chiavata” due fagotti di Pierino e Giuseppe Preralli provenienti da Napoli e contenenti “diversi drappi” colorati. Completano il carico cinque fagotti di seta del peso di 36 libbre e del valore di 498 scudi di Napoli di Fulvio Pulci setaiolo in Roma. Il 14 giugno 1608 il forziere della diligenza contiene due fagotti di Alfonso Rinaldini provenienti da Napoli e diretti a Gabriele Mangioli di Bologna, non ne viene specificato il contenuto. Il 4 ottobre 1608 il forziere della diligenza è pieno. Lorenzo Riccardi profumiere in Roma spedisce a Bologna due “malli [involucri] di guanti della concia che montano scudi dieci”, Antonio Berta consegna un fagotto del peso di 12 libbre di seta da consegnare a Francesco Aldrovandi, mentre Giacomino Roncalli affida “tre canne di velluto giallo rigato” acquistate al fondaco di Girolomo Rosellini a Napoli per Carlo Monterenzi di Bologna. La “cassa chiavata” viene completata da Fulvio Pulci il quale dopo aver subito il furto il 31 maggio di 28 libre di seta  il 4 ottobre 1608  spedisce “un fagotto in canovaccio” con dentro trenta libre di seta negra indirizzata a Ottaviano Landini»

 
     
 

 
 

Il corriere Bologna Roma attivo nel 1617

 
     
  Ancora attivo al tempo delle sperimentazioni di Pascàl il servizio delle diligenze scompare al punto che alla prima invasione francese di Roma rimane solo la citata linea che collega il Granducato di Toscana col Regno delle Due Sicilie, esercitata peraltro da una società fiorentina. Papa Braschi, che non pensa ad una rete di collegamenti da esercitare sulle strade rinnovate, ha in fatti dilapidato le finanze dello stato in costose opere di abbellimento della città, nel mantenimento di interessi clientelari, in vani tentativi di bonifica delle paludi pontine e in una gestione del giubileo del 1775 più godereccia che spirituale, facendo mancare ai progetti di rinnovamento la copertura finanziaria. Ancora più convinto della necessità di una profonda riforma è Pio VII, eletto papa nel 1800 dopo un lungo e tormentato conclave tenutosi a Venezia (sotto la protezione dell’imperatore d’Austria), al quale partecipano solo 35 cardinali. Barnaba Chiaromonti è eletto dopo tre mesi di scontro tra i due candidati sostenuti da Austria e Spagna grazie alla mediazione del cardinale Ercole Consalvi, un prelato di idee progressiste immediatamente nominato segretario di stato.  
     
  Proclamato a 58 anni (garanzia di un lungo pontificato), Pio VII opera una restaurazione che i suoi contemporanei definiscono illuminata, vincendo la resistenza della parte conservatrice della curia e che tiene conto delle numerose innovazioni introdotte dai francesi.  
     
 

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Il cardinale Consalvi; papa Pio VII

 
     
  Le premesse sono indicate nel motu proprio Quando per ammirabile disposizione, promulgato il 6 luglio 1816. «Meno alcuni indispensabili cambiamenti», scrive nella premessa riferendosi al suo ritorno a Roma nel 1815, «Noi conservammo nelle medesime quell’ordine di cose che vi trovammo allora; ma fino da quel momento facemmo sentire che ci saremmo occupati di un nuovo sistema di amministrazione de finitiva, il più conveniente ai veri e solidi interessi del nostro popolo». Secondo il papa «la unità, ed uniformità debbono esser le basi di ogni politica istituzione» perché «un Governo tanto più può riguardarsi come perfetto, quanto più si avvicina a quel sistema di unità stabilito da Dio tanto nell’ ordine della natura, quanto nel sublime e perfetto edificio della religione». L’effettiva attuazione, delegata dal papa al cardinal Consalvi, prevede la separazione delle funzioni amministrative e giudiziarie, la istituzione del tribunale civile e amministrativo e di una corte dei conti, la promulgazione dei codici civile e penale e una sud divisione omogenea del territorio sulla base di un censimento appositamente organizzato. Alle famiglie baronali è rivolto un invito (che in realtà è un ordine), affinché rinuncino alle prerogative feudali (ciò che avviene entro l’anno), in modo che le amministrazioni locali, pur guidate da un rappresentante nominato dal governo centrale, possano autodeterminarsi con le garanzie di una legislazione univoca.  
     
  Alle famiglie baronali è rivolto un invito (che in realtà è un ordine), affinché rinuncino alle prerogative feudali (ciò che avviene entro l’anno), in modo che le amministrazioni locali, pur guidate da un rappresentante nominato dal governo centrale, possano autodeterminarsi con le garanzie di una legislazione univoca.  
     
  La competenza sulle strade e i servizi di pubblico trasporto e posta sono affidati alla Congregazione del Buon Governo, che se ne era già occupata ai tempi della presidenza del cardinale Ignazio BuscaIn attuazione delle disposizioni di Pio VI, infatti, erano stati affidati appalti di manutenzione stradale e per la bonifica delle paludi per un valore complessivo di oltre un milione di scudi romani, ma tutto è poi rimasto lettera morta a causa di una crisi economica dovuta al rapido dilapidare del pubblico danaro attuato da papa Braschi. Oltre due terzi della somma era infatti garantita da grandi quantità di moneta erosa, l’unica al momento disponibile, che già da tempo ha portato ad un aumento dei prezzi al consumo e delle materie prime. La riforma fiscale che abolisce i privilegi feudali e avoca alla camera apostolica (il ministero dell’economia del tempo), i ricavi di tasse, imposte e bolli consente il ritiro graduale della moneta erosa e l’emissione di una grande quantità di “carta monetata”, garantita alla banca di emissione con notevoli quantità di oro e argento, a loro volta destinati alla coniazione di moneta fina  
     
  Nel 1820, ristabilito un relativo equilibrio economico, si può dare effettivamente il via alla risiste- mazione della rete stradale e ad una completa ristrutturazione dei servizi di trasporto, da tempo ridotti ad una sola linea che attraversa il territorio dello stato (Ceprano-Roma-Grosseto), a collegamento dei servizi postali di Granducato di Toscana e Regno delle Due Sicilie. Questa linea è esercitata dalla Diligenze pontificie Marignoli, impresa che fa capo al marchese spoletino Liborio Marignoli, figlio del banchiere Filippo e discendente di una famiglia che in quegli anni controlla l’amministrazione del dazio e il commercio delle granaglie in Umbria e nella Romagna compresa nel Granducato di Tosca na. Il nome del marchese Liborio è legato a doppio filo con quella delle diligenze pontificie ma le no-tizie al riguardo sono scarse e contraddittorie. Esiste traccia di numerose imprese recanti il nome Mari gnoli, e allo stesso risulta affidata la direzione della Impresa privilegiata delle Diligenze Pontificie, so cietà controllata dal governo cui un editto del 1821 del cardinale Bartolomeo Pacca affida la privativa delle più importanti linee dello stato (vedere a pag. 19). Accanto al Marignoli le diligenze pontifice sono dirette da Andrea Ridolfi (linee per la Toscana, l’Umbria e Ferrara), Giuseppe Ranucci (linea Ro ma-Napoli per la via di Ceprano, Terracina e Frosinone, con partenze effettuate anche da Civitavechia) e una serie di piccoli operatori privati per le località minori o prossime a Roma.  
     
  Il primo omnibus di Roma, o quantomeno il primo di cui si abbia notizia, prende il via quando, nel 1845, una guida di Roma censisce quattordici linee di diligenza che collegano l’intero territorio dello Stato Pontificio e un’altra ventina per gli immediati dintorni della città eterna. Sul soglio di Pietro, dopo i brevi pontificati di Leone XII e Pio VIII, siede Gregorio XVI, il papa cui la storia attribuisce la frase «chemin de fer, chemin d’enfer» (la strada ferrata è la strada dell’inferno), ma che al contempo favorisce lo sviluppo della navigazione sul Tevere. Il primo giorno di servizio di questo omnibus risale al 12 giugno 1845. Il suo scopo è favorire i romani e i pellegrini che vogliono raggiungere la (allora) lontana basilica di San Paolo fuori le Mura, ubicata al 2° Km del- la via Ostiense.  
     
   
  Progetto del 1817 per un velocifero da utilizzare sulla rete delle linee pubbliche pontificie,  
         
  Un posto di servizio che fornisce biada, foraggio e acqua per i cavalli, una sorta di stazione di rifornimento dell’epoca.
La diligenza Roma-Civitavecchia dell'impresa di Giuseppe Gabani 
(Senigallia 1846 - Roma 1900). Un velocifero romano.
 
 
 
 

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Ultimo aggiornamento: mercoledì 03 gennaio 2024