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La storia del trasporto pubblico di Roma raccontata con passione e per passione. Sito fondato da Vittorio Formigari, online dal 1999

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Diligenze e omnibus: quando si andava a cavallo

IL BILANCINO: UN SISTEMA DIMENTICATO

     
 

 
     
 

di Saverio Paolessi

 
     
  FITTU. [vedere traduzioni]  
     
  Gridò con voce ferma e decisa il ragazzo poco più che tredicenne, correndo a frapporsi tra una bambina undicenne terrorizzata e il cavallo "Normanno" che stava per travolgerla. Si era imbizzarrito per lo scoppio di un reflusso di un benzina nella marmitta di una delle rare automobili che transitavano sul lungotevere dei Vallati. Il bilancino, impennandosi, aveva colpito il suo conduttore ferendolo gravemente, aveva poi girato per tornare indietro, coinvolgendo il cavallo e il carretto a vino diretti a Trastevere a cui stava facendo da rinforzo.  
     
  Con il cocchiere sbalzato da cassetta il cavallo impazzito, con il suo convoglio e senza più controllo, aveva creato il panico in via dei Pettinari, cercando di entrare nelle botteghe tra le grida, il sangue della gente investita, il fuggi fuggi generale e il polverone.  
     
  FITTETE! CHE SI 'CCISU TI, MAMMITA E PARITU  
     
  imprecò il ragazzo che, ormai di fronte al cavallo, infilò con sicurezza il pollice e l'indice della mano sinistra nelle "froce" dell'animale; con la des tra lo afferrò per la cavezza tirandolo verso terra mentre lo guardava fisso negli occhi iniettati di sangue.  
     
  ECCHESSI NU DIAVOLO, CHE TE POZZA ESCI UN GARBO',  
     
  lo maledi, ma la lotta durò ancora pochi secondi, poi il dolore terribile al muso fece arrendere il Normanno, che si accasciò vinto  
     
  GE SENDI MONE, NUN GE L'HA FATTA LU BUDRACCHIU ME, CE LA VOLEI FA TI,  
     
  concluse il ragazzo consegnando le redini al cocchiere del carro finalmente sopraggiunto, che provvide subito ad assicurare la bestia ad un apposito anello di bronzo posto tra i civici 44 e 44a.  
  Il proprietario del caffè li ubicato e sua moglie, che erano i genitori della bimba, abbracciarono en-trambi i ragazzi per lo scampato pericolo, mentre la gente intorno gridava: "e bravo er burino, n'ha vis-to che j'ha fatto a qua carogna". I romani di una vol ta si esaltavano dinnanzi a fatti eclatanti come quello appena accaduto, e tutti si sentirono generosi cacciando qualche centesimo per dargli un premio, ma egli, molto dignitosamente, rifiutò dicendo:  
     
  ATELI A LU CAVALLARO CHE S'È 'NDRUNADU I SONGU VENUTO A RROMA PÈ LAVURA', NO PE CERCA' LA LIMUSINA  
     
  Intanto erano arrivati i carabinieri, la milizia, l'ambulanza. I militari cominciarono ad interrogare i testimoni, sequestrarono il "bilancino" e sigillarono l'anello. Il ragazzo, invece, chiese di es sere nascosto per non essere identificato, perché era un "extraregionario". Sceso dall'Abruzzo clandestinamente, temeva di essere rimandato a casa col foglio di via. Il caffettiere lo fece riparare nella sua bottega, e cosi non si seppe mai chi fosse il ragazzo che aveva fermato il cavallo. A questo punto arrivò un magistrato con un decreto che dichiarava per sempre soppresso quel servizio di rinforzo abusivo e mal tollerato.  
     
     
  Era il 31 dicembre dell'anno santo 1925. Quel giorno, oltre a segnare la fine del Giubileo segnò an che quella di una forma di trasporto che durava da secoli e che aveva dato vita all'espressione "andare a bilancia". I vecchi romani la usavano per designare gli scrocconi, specialmente quelli che usavano la fatica degli altri per non lavorare. Ricordo infatti che quando ero bambino (era il 1949 o il 1950) in oc casione di pranzi o gite c'era sempre qualcuno che non avendo i soldi per pagare cercava aiuto dagli amici, i quali, pur accondiscendendo, lo apostrofavano dicendo: "Aho, e vai sempre a bilancia?".  
     
  Questo modo di dire era nato centinaia di anni prima, se non di più, con l'uso del "bilancino", il ca vallo da rinforzo che era posizionato in prossimità delle rampe stradali molto acclivi e che veniva agganciato all'inizio della salita davanti al carro per poi essere sganciato e passato dalla parte opposta in caso di susseguente discesa. In questo modo si otteneva una doppia trazione in salita e un'azione frenante in discesa, un po' come si faceva per le linee ferroviarie di valico. Il cavallo titolare, tuttavia, non fa ceva un grande sforzo, essendo tutto il peso "bilanciato" dall'altro; da qui il nome "bilancino" per il cavallo sussidiario e, per antonomasia,"anda- re a bilancia” per gli scrocconi.  
     
  Roma, città dei sette colli e dai molti saliscendi, il sistema doveva essere molto diffuso ma io, in queste note, vi parlerò di quello da me conosciuto per tradizione orale, attraverso i racconti dei miei nonni a loro pervenuti dai loro nonni.  
     
  Nel 1473 a Roma c'erano solo due possibilità per andare da una parte all'altra del Tevere: la coppia ponte Fabricio-ponte Cestio, attraverso l'Isola Tiberina, e il ponte Elio (oggi Sant'Angelo), la cui impor tanza è tuttora testimoniata dal tridente via di Panico, via del Banco di S.Spirito, via Paola. Gli antichi ponti romani (Sublicio, Emilio, Valentiniano, Neroniano) erano crollati nell'alto medioevo, travolti dalle piene che, per la mancanza di controllo e l'ab-bandono del territorio, si abbattevano periodicamen te e in modo catastrofico sulla città. Non c'erano na-turalmente i servizi di trasporto pubblico ma una miriade di piccoli imprenditori che, nella maggioran za dei casi, avevano un solo carro o carrozza. Uno di questi, però, aveva qualche carro per il trasporto delle merci e ben tre carrozze, mezzi che usava a no-leggio su tre percorsi, per i quali aveva apposite li-cenze. Il primo, da piazza San Pietro a piazza San Francesco a Ripa per via della Lungara, porta Settimiana, piazza Santa Maria in Trastevere, via di San Francesco a Ripa; il secondo, sempre da San Pietro, seguiva il primo fino a piazza della Scala, quindi se-guiva vicolo del Bologna, via dei Pellegrini (oggi dei Pettinari), via dei Giubbonari, via di sant'Anna, Pantheon, via degli Orfani, piazza Capranica, via in Aquiro, piazza Montecitorio, San Silvestro; il terzo, da San Francesco a Ripa, seguiva il primo in senso contrario con la differenza di percorrere via del Mo-ro.  
     
  Se per la prima linea non c'erano problemi, la se conda e la terza dovevano attraversare il Tevere all' altezza dei ruderi del ponte di Valentiniano, crollato a seguito della piena del 791, a mezzo di u traghetto· ancorato ai suoi due lati e assicurato, lato monte, da una robusta corda posta di traverso sull’alveo, con degli anelli tutt’intorno ad essa e delle catene ancorate allo zatterone, che impedivano il trascinamento da parte della corrente.  
     
  Per muovere il traghetto tra le due rive c'erano al trettanti argani azionati da due cavalli (un po' come i mulini mossi dalla trazione animale), dei quali uno tirava verso la direzione in cui si doveva andare, lo altro al contrario, in modo da mantenere la corda tesa e contribuire alla trazione. Si veniva cosi a creare un perfetto bilanciamento del moto dell'imbarcazione, che poteva traghettare anche in condizioni di pie na moderata. C'era, infine, anche la figura del marinaio che, munito di un lungo bastone, comandava la manovra decidendo come e quando passare, guidando ed evitando gli ostacoli trascinati dall'acqua. Na-turalmente il cavallo che tirava dal punto dove si era diretti faceva la fatica maggiore mentre quello a "bilancia" doveva limitarsi a trattenere la fune.  
     
  Di questi traghetti ve ne erano sicuramente altri ma questo era quello che lavorava di più, servendo soprattutto ai pellegrini che venivano dalla Aurelia Bis, quella fatta costruire da Agrippa assieme al suo ponte e che scendeva direttamente al Campo Marzio seguendo il percorso delle attuali vie di San Pancra-zio, del Cedro, vicolo del Bologna, piazza Trilussa. Questo itinerario baypassava quello dell'attuale via Aurelia Antica, che seguiva il percorso delle attuali vie Goffredo Mameli, Luciano Manara, delle Fratte di Trastevere, della Madonna dell'Orto scavalcando il Tevere sul ponte Sublicio). Molti pellegrini prove-nivano anche dalla direttrice Cassia-Trionfale attra-verso l'attuale via della Pineta Sacchetti, la circonvallazione Cornelia, via del Casale di San Pio V, la via Aurelia antica e l'Aurelia Bis. Quest'ultima de-viazione evitava ai pellegrini di attraversare la zona dei Prati di Castello (attuale rione Prati) sia per far-li arrivare dal percorso panoramico del Gianicolo, sia per evitare una zona allora paludosa e malsana  
     
  Questo sistema, che chiamerò “IPPOFLUVIALE”, consolidatosi attraverso i secoli, era probabilmente destinato a rimanere tale finché la gestione del traghetto fu affidata ad un certo Artemio, un ex facchino portuale alto e forte, qualità che ben si adattavano al duro lavoro che doveva svolgere, ma anche ubriacone, violento, disonesto e prepotente. Artemio approfittava del regime di monopolio di cui godeva per far pagare più del dovuto ai pellegrini, ai viandanti e ai carrettieri forestieri. La voce di questi soprusi giunse all’orecchio di papa Sisto IV, esponente dei Della Rovere, che decise di indagare personalmente. Indossati abiti borghesi il pontefice uscì col suo segretario dalla sua residenza privata (che si trovava nella piazza che oggi porta il nome della sua famiglia), percorse via della Lungara, piazza della Scala e, giunto ai ruderi dell’antico ponte, chiese ad Artemio di essere traghettato “alla Regola”. Ubriaco, ma non stupido, il traghettatore notò subito il lusso degli abiti borghesi e della carrozza.  
     
 

«Sono venti scudi», rispose chiedendo una tariffa tre volte maggiore a quella stabilita.

 
     
 

Il papa pagò senza batter ciglio ma Artemio vide che il sacchetto era pieno di monete. Dato ordine ai piloti dei due cavalli  di muoversi fece arrestare lo zatterone in mezzo al fiume.

 
     
   
     
  Il papa pagò nuovamente senza dire nulla e finalmente toccò terrà dall’altra parte. Nello scendere dal traghetto disse ad Artemio: «Tu sei un ladro, e farò in modo che non potrai più lavorare perché qui costruirò un ponte». Queste parole fecero infuriare Artemio al punto che, estratto un coltello, iniziò a rincorrere la carrozza per via dei Pellegrini e raggiuntala saltò sul predellino menando un grosso fendente in direzione del pontefice. Non lo colpì perché una robusta mano mancina riuscì a bloccarlo. Apparteneva a un uomo di nome Teodosio, che era anche lui salito al volo sul predellino perché, vista la scena e conoscendo il soggetto, aveva giustamente temuto il peggio.  
     
  Fingendo di essere dalla sua parte disse: “Nun te compromette pe ‘sto stronzo, viette a beve un po’ de vino, che ne m’è arivato uno proprio bo no”, e dando d’occhio al cocchiere lo invitò ad al lontanarsi, cosa che questi fece immediatamente men tre Artemio, disorientato dalla decisione con cui era stato fermato, preferì seguire Teodosio nella sua bottega, dove bevve il vino promesso.  
     
     
  La bottega di Teodosio, va precisato, non era un osteria. La sua attività era detta“acquafrescaio” per ché vi si somministrava acqua che, se non bollita e mescolata con vino, poteva dar luogo a infezioni in quanto all’epoca, venuto meno l’apporto degli acque dotti dell’epoca antico-romana, veniva prelevata da pozzi alimentati dalle infiltrazioni del fiume. Addizio nata con estratti di frutta ed erbe officinali, dissetava i pellegrini che giungevano a Roma distrutti dai lunghi viaggi.  
     
  Pochi mesi dopo il papa diede inizio ai lavori di ricostruzione del ponte. Si usarono le basi dei piloni e parte della spalla fatta in blocchi di tufo del ponte originale di Agrippa, nonché quella in travertino proveniente dal restauro di Valentiniano, ed entram-be sono ancora visibili, rispettivamente lato Trasteve re e lato Regola. Gli archi vennero ricostruiti “ex no vo” in travertino e mattoni e in meno di due anni il cantiere era concluso (SIC! Per la rimozione delle passerelle del 1878 e i restauri in vista del 2000 ci sono voluti quindici anni).  
     
  Il 1 gennaio 1475, primo Giubileo che da allora, per decisione di Sisto IV, si sarebbe svolto ogni ven-ticinque anni, il ponte fu solennemente inaugurato anche se era già aperto al transito di carri e pedoni da qualche tempo. Il “bilancino” vi era rimasto in uso poiché, non essendo ancora stati costruiti i mura glioni dei lungotevere, il piano stradale di Regola e Trastevere era molto più basso dell’attuale e i due la ti della struttura erano caratterizzati da una rigida pendenza. E vi era rimasto anche Artemio che, soppresso il traghetto, si era messo in mezzo al ponte ed estorceva ai passanti una specie di pedaggio.  
     
  Quando il papa giunse da Trastevere per la benedizione della nuova struttura al tiro del suo cocchio fu attaccato il “bilancino”, che lo portò sulla parte centrale e pianeggiante del percorso. Mentre il caval lo di rinforzo veniva staccato ed attaccato alla parte posteriore del cocchio il papa, disceso, aspergeva il ponte di acqua benedetta, recitava le formule di rito e riconosceva Artemio tra la folla accorsa per l’even to. “Mi riconosci?” chiese avvicinandosi all’uomo, “Te lo avevo promesso che l’avrei costruito”. Ar temio sbiancò e cercò di fuggire ma fu bloccato dai gendarmi e portato via per essere processato (tre giorni dopo, riconosciuto colpevole, fu impiccato al secondo lampione a destra venendo da Regola).  
     
  Terminata la cerimonia il papa aveva raggiunto la chiesa di San Salvatore in Onda, proprio di fronte al la bottega di Teodosio. Staccato il “bilancino” il pa-pa stesso lo condusse verso di lui, che era inginocchiato coi suoi familiari, stupefatto perché lo aveva riconosciuto. Porgendogli le briglie del cavallo il pa pa disse: “Attaccalo al muro, qui sarà la base del ca vallo che aiuterà i veicoli a superare il mio ponte. Mi hai salvato la vita, perciò concedo a te e ai tuoi discendenti il diritto perpetuo di continuare qui ad esercitare la tua professione di ristoro dei pellegrini stremati”. Ciò detto si diresse verso la chiesa intona ndo un Te Deum di ringraziamento. Da allora, nei se coli successivi, il servizio fu sempre effettuato, raggiungendo il suo massimo splendore nel XIX secolo con l’istituzione degli omnibus che ricalcavano gli storici percorsi del 1473. A fine ‘800, però, gli omni-bus furono soppiantati dai tram elettrici che percorrevano la direttrice viale Trastevere, ponte Garibaldi, via Arenula.  
     
  Come sempre a Roma, dove le abitudini sono dure a morire, qualche cavallaro continuò, forse in dero-ga, forse abusivamente, questo servizio di rinforzo, che durò fino al fatidico 31 dicembre 1925. Durato 450 anni per una curiosa combinazione era cominciato all’inizio di un anno santo (1475) e terminava con la fine di un anno santo (1925). L’anello per le-gare il Normanno rimase in opera fino al 1932, quan do fu rimosso in occasione di uno dei tanti restauri dell’edificio.  
     
  A conclusione. Ho la presunzione di credere che il ponte Sisto sia merito della mia famiglia. La bambina (Maria) e il ragazzo (Augusto) si sposarono dopo sedici anni e dalla loro unione sono nato io. Teodosio è un nostro antenato da parte femminile, distante una ventina di generazioni. Mia Nonna era mancina come Teodosio, e come lei sono mancini mio zio, mio fratello, mio figlio e perfino una mia nipote. Nella nostra bottega di “acquafrescaio”, che ora si chiama “snack bar”, continuiamo a ristorare i pellegrini, che ora si chiamano turisti, e a raccontare loro la storia del bilancino e di Ponte Sisto. E Artemio...? Il suo spirito irrequeito si è reincarnato in saltimbanchi, perdigiorno, pifferai, nullafacenti, accattoni, vu cumprà, borsaioli, spacciatori e scippatori. Una piccola corte dei miracoli che affolla il centro del ponte, ormai ridotto pedonale, ostacolando il passaggio e chiedendo, se non estorcendo, denaro a chi transi-ta. (QUI TRANSIT, come dice la lapide). Per il resto nulla è cambiato. Roma è la “Città Eterna”.  
     
  Traduzioni dal dialetto abruzzese:
1 Fermo.
2 Fermati, che possano essere uccisi te, tuo padre e tua madre.
3 Narici
4 E che sei il diavolo, che ti possa uscire [di bocca] un carbone [ardente].
5 Ci senti adesso, non ce l’ha fatta il mio asino, ce la volevi fare te.
6 Dateli al cavallaro che si è fatto male; sono venuto a Roma lavorare, non per chiedere l’elemosina.
 
 
 
 

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Ultimo aggiornamento: giovedì 04 gennaio 2024