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La storia del trasporto pubblico di Roma raccontata con passione e per passione. Sito fondato da Vittorio Formigari, online dal 1999

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Meccanica tranviaria e ferroviaria

FRENI A PATTINI

     
 


Un freno a pattini di metà Ottocento: il freno Didier (1859).

Nei sistemi di frenatura meccanica agenti sulle ruote del veicolo l'azione frenante è funzione dei coefficienti di aderenza tra ceppo del freno e ruota (oppure tra pinza di attrito e disco nei freni a disco) e tra ruota e rotaia. Denotando con f1, f2 i due coefficienti, il massimo sforzo frenante F che si può applicare al ceppo al limite di aderenza, ossia al di là del quale si ha lo slittamento della ruota, è dato dalla relazione F=(f2/f1)P se P è il peso gravante sulla ruota. I coefficienti di aderenza variano, oltre che con lo stato delle superfici, con la velocità relativa delle stesse, riducendosi con l'aumentare della stessa (ved. diagramma sotto riportato); di conseguenza l'efficacia del freno è massima alle basse velocità e si riduce man mano che la velocità aumenta.

Da qui la necessità, sentita fin dai primordi della trazione su rotaia, di disporre di un freno indipendente dall'aderenza tra ruota e rotaia, come appunto è il freno a pattini, che in realtà è vecchio quanto la trazione meccanica, le prime esperienze con rudimentali meccanismi risalendo alla metà del XIX secolo: la necessità di un freno fu poi maggiormente sentita con l'avvento della trazione elettrica, l'arresto delle prime rudimentali motrici essendo allora affidato al semplice freno a ceppi sulle ruote manovrato a forza di braccia dal conducente, di diretta derivazione del freno sui rotabili stradali a trazione animale; nè qui era presente la forza del vapore alla quale affidarsi, con il controvapore, in situazioni di emergenza.


R, rotaia; P, pattino; S, spalle di appoggio.

Il freno a pattini consta schematicamente di un corpo, il pattino o scarpa, premuto contro il fungo della rotaia a mezzo di una forza esterna; il pattino si oppone al moto del rotabile in virtù della reazione di attrito che si sviluppa al contatto con la rotaia; se F è la forza applicata, la reazione di attrito nella direzione del moto della vettura ed in senso contrario allo stesso è f.F, con f coefficiente dipendente dalla natura dei materiali. Per opporsi efficacemente al moto della vettura il pattino deve essere contrastato a mezzo di spalle di appoggio solidali al telaio della stessa.

Pattini ad azionamento meccanico

Nella forma più semplice del freno i pattini sono pressati sulla superficie della rotaia dall'interno della vettura, attraverso un sistema di leve comandato da un volantino a disposizione del conducente. Con questa disposizione è inevitabile che alla forza applicata verticalmente dalla ruota alla rotaia corrisponda una reazione in senso opposto, che tende a scaricare la sospensione della cassa ossia a sollevare la vettura, riducendo il peso gravante sulle ruote: in altre parole, l'azione del freno a pattini può favorire lo slittamento delle ruote e l'incremento dell'azione frenante rispetto al semplice freno a ceppi può risultare del tutto illusorio, oltre ad aumentare il rischio di svio; a questo fenomeno sono da imputare i numerosi incidenti avvenuti in fase di frenatura nei primi impianti di trazione elettrica urbana.


Pattini ad azionamento meccanico su truck Taylor (motrice SRTO) e su rimorchiata.

Il freno a pattini meccanici fu utilizzato quasi esclusivamente sul materiale motore, anche se non è mancato qualche esempio di montaggio su vetture rimorchiate, quale freno di stazionamento o di sicurezza contro la rottura del gancio di trazione su linee particolarmente accidentate; cadde rapidamente in disuso entro i primi anni del secolo XX, anche se su qualche rete restò presente fino agli anni Cinquanta (Napoli).

Pattini ad azionamento elettromagnetico


Tipi di freno a pattini a flusso trasversale (a) e longitudinale (b).

Il pattino elettromagnetico al momento maggiormente in uso è del tipo a flusso trasversale (fig. a), nel quale il flusso magnetico creato dalla bobina di eccitazione si chiude su un tracciato normale all'asse della rotaia. E' formato da due piastre E collegate da un nucleo N, terminanti con i pezzi polari P, P', tutti elementi di materiale ferromagnetico, di norma ferro o acciaio dolce; sul nucleo è avvolta la bobina di eccitazione B, alimentando la quale i pezzi polari aderiscono, per attrazione magnetica, alla rotaia dando luogo alla frenatura del rotabile; alle piastre sono collegate le spalle di appoggio destinate a contrastare il movimento del pattino. In figura è anche mostrato il circuito magnetico del pattino, a tratto rosso.

Un altro tipo di pattino utilizza invece un flusso longitudinale (fig. b), con il tracciato del flusso magnetico secondo l'asse della rotaia; in questo caso si utilizzano il più delle volte elettromagneti multipli, affiancati per tutta la lunghezza del pattino con i poli eteronimi affacciati. Il maggior inconveniente di questo tipo risiede nelle ridotte dimensioni delle numerose bobine, con difficoltà di isolamento.

Nelle realizzazioni più recenti i pattini rigidi, formati da un unico elettromagnete o da più elettromagneti agenti su un'unica serie di pezzi polari, sono stati spesso sostituiti da pattini articolati, composti da più elementi relativamente indipendenti l'uno dall'altro, collegati in modo da dar luogo ad una pattino parzialmente articolato per un miglior adattamento alla superficie della rotaia.

Montaggio e sospensione

E' essenziale che il pattino a riposo resti ad una distanza minima dalla rotaia, compatibilmente con le esigenze del movimento.

Nella figura l'elettromagnete M attrae l'armatura A posta ad una certa distanza, con un intervallo d'aria; con le notazioni indicate in figura il circuito magnetico (tratto in rosso) è formato da due parti, una di lunghezza l1+l2 nel ferro ed una lunga 2t in aria (traferro). La forza con la quale l'armatura è attratta è proporzionale al quadrato del flusso magnetico che vi si crea, quest'ultimo essendo direttamente proporzionale alla forza magnetomotrice ottenuta dalla bobina, pari al prodotto del numero di spire per l'intensità di corrente che l'attraversa, e inversamente proporzionale alla riluttanza o resistenza magnetica del circuito, data dalla relazione R=l/μS, con l lunghezza, S sezione del circuito e μ, permeabilità magnetica relativa, posta convenzionalmente pari ad 1 per l'aria e raggiungente valori di qualche migliaio per il ferro. Consideriamo, a titolo di esempio approssimato, un circuito magnetico per il quale sia l1+l2=2,4 m, 2t=0,04 m, S=0,02 m2 e μferro=2000. Per le tratte risp. in ferro e in aria avremo i valori di riluttanza Rferro=2,4/(2000.0,02)=0,06 e Raria=0,04/0,02=2 e si vede che all'atto pratico la riluttanza è data prevalentemente dallo spazio di aria presente nel circuito magnetico, che conviene quindi tenere il più ridotto possibile. Si noti che all'atto pratico il traferro non si annulla completamente nemmeno a pattino aderente alla rotaia, restando sempre presente uno strato di irregolarità delle superfici, spesso sede di impurità, ruggine, sabbia, ecc. che può valutarsi nella maggior parte dei casi in 0,15-0,30 mm

Come nel caso dei pattini ad azionamento meccanico, anche l'azione dei pattini elettromagnetici si riduce con l'aumentare della velocità del rotabile a causa della riduzione del coefficiente di aderenza, ma nel caso attuale si ha un effetto addizionale dovuto alle correnti parassite che si sviluppano nella rotaia a seguito del moto relativo della stessa rispetto al campo magnetico generato dal pattino, che se da un lato dà un leggero incremento dell'azione frenante, dall'altro tende a ridurre il campo risultante; normalmente questo secondo fattore è predominante sul primo e l'azione frenante si riduce ulteriormente. Il freno pattini elettromagnetici è quindi un dispositivo molto valido per frenatura a bassa velocità, ad esempio per frenatura di emergenza, ma perde di efficacia ed utilità se si vuole utilizzarlo come freno di rallentamento.

Per i rotabili a due assi è stato generalmente adottato il montaggio di una unica coppia di pattini al centro del telaio o del truck per interasse fino a 2000 mm circa; per telai ad interasse maggiore la coppia di pattini fu spostata in prossimità di un assale per evitare che nelle curve l'asse del pattino di discostasse troppo dall'asse della rotaia; per rotabili destinati a linee particolarmente acclivi furono anche adottate due coppie di pattino, ancora montate presso gli assali. Nei carrelli a due assi il pattino si monta ovviamente tra gli assali.


Pattini elettromagnetici su rotabili a due assi.


Pattino di tipo attuale; complessivo di una coppia di pattini; pattini su un carrello PCC.

La sospensione più semplice è ottenuta con molle di lunghezza regolabile che mantengono i pezzi polari ad una distanza variabile da 5 a 10 mm dalla superficie della rotaia ed in tal caso l'eccitazione della bobina dà luogo ad una forza di attrazione sufficiente a contrastare la molla e ad applicare il pattino alla rotaia. Il sistema è applicabile solo se il molleggio del truck o del carrello non è tale da portare il pattino spontaneamente a contatto della rotaia durante il moto del rotabile; si è anche provato a rendere i pattini solidali alle boccole anzichè alle travi del truck o dei carrelli onde sorpassare le molle di sospensione, ma la soluzione presenta difficoltà di montaggio oltre ad aumentare il peso non sospeso dell'equipaggiamento. Per garantire una migliore aderenza del pattino alla rotaia se ne è anche proposto un montaggio articolato; non è noto se e quanto questo sistema sia stato effettivamente impiegato.


Montaggio articolato di un pattino.

Alimentazione elettrica

Per l'eccitazione delle bobine dei pattini si prospettano le due soluzioni:

  1. alimentazione dalla corrente generata dai motori in frenatura reostatica,
  2. alimentazione dalla linea di contatto o da accumulatori.

potendo anche ricorrere alla simultaneità delle due.

Alimentazione con la corrente di frenatura reostatica.

E' stato il primo sistema ad essere largamente utilizzato, almeno sulle reti nelle quali le motrici tramviarie disponevano del freno reostatico: in pratica su tutte le reti dell'Europa continentale e insulare. La corrente generata dai motori in frenatura è in parte utilizzata per l'alimentazione dei pattini e la contemporaneità delle due azioni frenanti riduce l'intensità di corrente necessaria ad avere un dato sforzo frenante; il blocco delle ruote in frenatura è quasi impossibile, visto che una riduzione della velocità di un assale porta automaticamente alla riduzione della corrente generata e di conseguenza alla riduzione dell'azione frenante. Le disposizioni adottate sono diverse, ma in generale si evita di inserire i pattini fin dalla prima tacca del controller in frenatura, preferendo lasciare tre o quattro tacche con solo freno reostatico e le seguenti con il freno reostatico cooperante con i pattini, mentre l'ultima tacca è spesso riservata alla chiusura del circuito dei motori sui soli pattini senza inserzione di resistenze costituendo quindi una frenatura di emergenza, anche se un suo uso intempestivo può portare a danni ai motori. Il sistema è stato anche applicato ai rari casi di pattini su vetture rimorchiate, derivando i patti del rimorchio su una resistenza inserita nel circuito di frenatura, in modo che una interruzione del collegamento tra motrice e rimorchio non metta fuori servizio l'intero apparato frenante elettrico.


Inserzione dei pattini nel circuito di frenatura reostatica.
M, bobine di eccitazione dei pattini; Ra, reostato di avviamento; Rs, resistenza di sicurezza;
A, F, armature e bobine di campo dei motori.

La resistenza delle bobine di eccitazione dei pattini è generalmente trascurabile rispetto alla resistenza totale del circuito di frenatura e non influenza il funzionamento del freno reostatico; se inserito fin dalla prima tacca del controller in frenatura, l'aumento dell'induttanza del circuito porta però ad un maggior ritardo nell'intervento del freno reostatico ed è questo un motivo per cui si preferisce inserire i pattini da una certa tacca del controller in poi, quando i motori sono già sicuramente eccitati. Più critica sarebbe la situazione per i pattini delle rimorchiate per la necessità di inserirvi in parallelo la resistenza di sicurezza, riducendo la corrente nelle bobine di eccitazione; per questo ed altri motivi il freno a pattini sulle rimorchiate con alimentazione dalla corrente reostatica ha trovato applicazioni limitate, per es. a linee di montagna.

Alimentazione da sorgente esterna.

L'alimentazione dei pattini dalla linea di contatto avrebbe il vantaggio di rendere il funzionamento degli stessi del tutto indipendente dai motori e di disporre del freno elettromagnetico a qualsiasi velocità e con la massima intensità, sempre però col rischio che il freno venga a mancare completamente per mancanza di tensione di linea o per scarrucolamento del trolley (almeno per le prese di corrente che lo permettano). In passato si sono avute installazioni ad alimentazione mista, in generale alimentando i pattini con la corrente reostatica in tutte le posizioni di frenatura del controller, tranne che nell'ultima con i pattini alimentati dalla linea. La soluzione appare criticabile dal punto di vista della sicurezza, perchè in caso di emergenza il conducente tende a portare il controller di colpo all'ultima posizione di freno e non è detto che al momento il trolley sia in presa con la linea di contatto; si complica anche la costruzione dei pattini, che devono essere dotati di doppie bobine per i due tipi di alimentazione.

Per l'inserzione nel circuito del freno reostatico la bobina del pattino ha una resistenza dell'ordine dell'ohm e la sua alimentazione dalla tensione di linea attraverso una resistenza addizionale porterebbe ad una dissipazione di potenza eccessiva; occorre quindi dotare la bobina del pattino di un secondo avvolgimento di caratteristiche tali da poter essere alimentato dalla tensione di linea attraverso una resistenza con una dissipazione accettabile.


Alimentazione dei patti da sorgente esterna; a) da linea di contatto, b) da accumulatore.
M, bobine di eccitazione dei pattini; +T, trolley; k, contatto nel controller; r, resistenza addizionale; B, accumulatore.

Quando, a metà degli anni Trenta, anche le motrici tramviarie iniziarono ad essere dotate di impianto a bassa tensione alimentato da batteria di accumulatori per l'illuminazione, i circuiti di comando, le segnalazioni, ecc., si pensò subito di utilizzarle anche per l'alimentazione dei pattini: il sistema divenne ben presto di uso generale dapprima come ausilio all'uso della corrente reostatica e successivamente l'accumulatore divenne sorgente unica anche per il freno a pattini, disposizione attualmente di uso generale. La ridotta potenza richiesta dall'eccitazione dei pattini permetterebbe l'uso di batterie di accumulatori di ridotte dimensioni e peso: ad es., per una motrice da 15 t sarebbe sufficiente una batteria da 6 elementi pesante 50 kg circa, anche se l'aumento della potenza richiesta dall'impianto a bassa tensione dei rotabili porterà necessariamente all'impiego di batterie di maggiori dimensioni.

Sistemi ad azione concomitante

Fintanto che la motrice tramviaria era dotata di freno pneumatico, la soluzione generalmente utilizzata per mantenere i pattini a riposo ad una distanza di sicurezza dalla rotaia fu di sostenerli a mezzo di cilindri ad aria compressa normalmente in pressione, scaricando gli stessi in fase di frenatura e alimentando simultaneamente le bobine. Il sistema fu, in Italia, di uso generale fin dai primi impianti degli anni Trenta, con l'ovvia eccezione delle rare motrici PCC, fino all'apparizione delle attuali motrici prive di apparato di freno pneumatico; presenta l'inconveniente che una vettura in sosta per un tempo tale da avere i serbatoi scarichi deve necessariamente attendere il riempimento degli stessi prima di potersi avviare.

TIBB, 1938 e 1941


Azionamenti TIBB.
R, serbatoio aria; FR1, 2, cilindri freno pneumatico; C1-4, cilindri comando pattini; FP1-4, pattini; EV1, 2, elettrovalvole;
TF, TF1, TF2, contattori soccorritori; t, relè temporizzatore; CF, CF1, CF2, contatti controller di frenatura; P, pulsante di azionamento rapido.

Fin dal 1938 il Tecnomasio Italiano Brown Boveri presentò delle soluzioni che sarebbero divenute successivamente di uso generale, equipaggiando con minori variazioni, per quasi venti anni, quasi tutte le motrici tramviarie urbane entrate in servizio col freno a pattini su varie reti in Italia.

Nel sistema previsto per le motrici gr. 5000 della ATM di Milano (fig. a) i pattini sono mantenuti, a riposo, ad una distanza di 50-80 mm circa dalla rotaia ed il loro abbassamento, in fase di frenatura, fino ad entrare in contatto con la rotaia si ha a mezzo dello scarico dei cilindri di comando C1-4 (l'esempio si riferisce ad un rotabile dotato di quattro pattini, ma si estende ovviamente ai casi di un maggior numero di pattini); la frenatura è avviata dal contatto CF del controller di frenatura che, attraverso il contattore TF, alimenta le elettrovalvole di scarico ew1, 2; l'intervento dei pattini può anche aversi con l'azionamento del pulsante P presente sul banco delle vetture, mentre un relè a tempo t limita l'alimentazione dei pattini a 15 sec. circa per evitare inutili riscaldamenti nel caso che il conducente lasci stabilmente il controller sulla posizione di freno a pattini. L'impianto è alimentato a tensione di linea; i pattini sono lunghi 600 mm e danno uno sforzo di applicazione di 2500 kg l'uno; si ottiene una decelerazione di 0,75 m/s2 con l'azione dei soli pattini e di 2,20 m/s2 con l'azione concomitante del freno pneumatico e dei pattini.

Per la rete UITE di Genova lo stesso Tecnomasio presenta un sistema analogo, con pattini lunghi 850 mm che forniscono 4500 kg di sforzo di applicazione, graduabile in due passi con la variazione della resistenza inserita nel circuito di alimentazione, ancora a tensione di linea. Con le motrici a quattro assi da 20 tonn si ottiene uno spazio di frenatura di circa 17 m a 40 km/h, corrispondente ad una decelerazione di 3,60 m/s2.

L'abbassamento dei pattini per scarico di cilindri pneumatici, come nei due esempi citati, richiede un tempo variabile da 0,7 a 1,3 s, il che corrisponde ad uno spazio di frenatura variabile da 10 a 20 m per le velocità comunemente raggiungibili dai rotabili in servizio urbano, valore da molte parti ritenuto eccessivo. Per accelerare l'intervento dei pattini, nel 1941 il Tecnomasio propone un sistema di comando nel quale i cilindri di abbassamento agiscono per pressione e non per scarico, su comando dato dai cilindri dell'ordinario freno pneumatico sulle ruote (fig. b); all'inizio di ogni applicazione della frenatura pneumatica di servizio i pattini, tenuti a riposo ad 80-100 mm dalle rotaie, sono abbassati a circa 5 mm, ma sono eccitati solo nella posizione di frenatura a pattini del controller di freno, aderendo alle rotaie per attrazione magnetica. Si hanno due gradi di intervento dei pattini a seconda delle posizioni del controller tramite due contattori; un pulsante di emergenza permette l'immediato intervento dei pattini al massimo grado di frenatura.

Occorrerebbe qualche ulteriore notizia su quest'ultimo sistema: sembrerebbe infatti che in caso di mancanza di aria i pattini, trovandosi a notevole distanza dalle rotaie, resterebbero inattivi, anche per intervento del pulsante di emergenza.

Un'applicazione su motrice PCC, CGE 1958


Alimentazione dei pattini su una motrice PCC.
E, FP, posizioni del controller di frenatura; FP1-4, pattini; INT, interruttore di esclusione;
P, pulsante di azionamento rapido; PT, contattore soccorritore; R, resistenza di limitazione: B+, alimentazione da batteria a 36 V.

Lo schema riporta il circuito di alimentazione dei pattini sulle vetture PCC a quattro assi entrate in servizio sulle reti di Roma e Milano tra il 1958 e il 1960; non essendoci qui impianto pneumatico, i pattini in mancanza di eccitazione sono costantemente mantenuti a breve distanza dalle rotaie a mezzo di molle di elevata flessibilità. L'alimentazione delle bobine di eccitazione dei pattini, data da batteria inizialmente a 36 V e successivamente portata a 42 V, è possibile per tre vie: dalla posizione FP del controller di frenatura attraverso un resistenza limitatrice per avere una azione moderata del freno, dalla posizione E di freno di emergenza del controller e dal pulsante P presente sul banco, in questi due ultimi casi con alimentazione diretta attraverso il contattore PT che agisce da soccorritore per evitare una corrente eccessiva sui contatti del controller e del pulsante.

Un'invenzione Westinghouse


Doppio freno Westinghouse.
P
, pattino del freno; C, ceppo del freno meccanico; L, puntone.

Ogni pattino ammette una limitata libertà di movimento longitudinale rispetto al telaio del rotabile: l'aderenza alla rotaia in frenatura provoca lo spostamento dei pattini in senso contrario al moto della vettura, portando all'azionamento, a mezzo del corrispondente puntone, del freno a ceppi dell'assale posteriore. Nell'immagine si nota il rudimentale pattino, costituito da un nucleo ad U rovescio con una bobina di eccitazione al centro. Il sistema sembra abbastanza rudimentale; pare abbia avuto qualche applicazione su reti inglesi.

Sulla rete romana

Gestione SRTO.

I freni a pattini meccanici appaiono fin dalle prime motrici messe in servizio dalla SRTO, le terrazzini e le torpediniere; sono comandati da un volantino ad asse verticale posto a fianco della manovella del freno a mano. Questo freno appare però subito di scarsa efficacia e forse a seguito di vari incidenti tra i quali lo svio di una motrice del 16 luglio 1912, se ne decide la soppressione e la sostituzione con un secondo freno a mano agente sulle ruote tramite una coppia di ceppi aggiuntivi, soluzione resa possibile dal fatto che fino a quel momento la pratica era stata di dotare ogni assale di una sola coppia di ceppi; l'operazione si concluderà nel dicembre del 1915.


Comando dei freni su una motrice SRTO.

Qualche motrice a terrazzini risulta dotata, almeno per un certo periodo, di pattini elettromagnetici; non è noto quali e quante motrici abbiano avuto questa applicazione, che dovette necessitare certamente di modifiche sostanziali all'equipaggiamento elettrico.

Gestione municipale.

Le prime due serie di motrici dell'AATM, le Charleroi e le Dick, Kerr e le due corrispondenti serie di rimorchiate appaiono dotate fin dal principio di pattini elettromagnetici, che spariranno nel primo dopoguerra, quando l'equipaggiamento di motrici e rimorchi sarà aggiornato a quello delle successive motrici a truck e relativi rimorchi. Dovranno passare circa trent'anni prima che sui binari di Roma circolassero nuovamente motrici con pattini elettromagnetici: le articolate Stanga fornite a partire dal 1947 a seguito del prototipo del 1940. Ma nonostante che all'inizio sembri che l'ATAC guardi con diffidenza alla novità, come appare da un ordine di servizio del 14 novembre 1947:

...si consiglia di evitare, per quanto è possibile, di usare questo freno, perchè date le attuali condizioni del binario, esso è facilmente soggetto a danneggiamenti durante il suo funzionamento.

il nuovo (ma non tanto) tipo di freno non stenta ad affermarsi e sarà costantemente presente su tutti i successivi rotabili forniti alla aziende romane: apparirà nel 1952 sulle Stanga della STEFER, consorelle delle Stanga ATAC, sulle PCC nel 1957 e sulle poche MRS oggetto dell'infelice piano di modernizzazione di queste motrici che abbiamo visto avviarsi nel 1980 e terminare ben presto con la radiazione dell'intero gruppo; ma da quel momento, anche per la scomparsa del freno pneumatico, i pattini elettromagnetici diventano un obbligo per qualsiasi nuovo rotabile tramviario che venga costruito.

I pattini in trazione ferroviaria

Negli anni Trenta l'impiego del freno elettromagnetico a pattini sulle reti tramviarie, o almeno sulle reti dell'Europa centrale, è oramai generalizzato e, sulla spinta della perenne ricerca dell'alta velocità, da più parti se ne propone l'applicazione alla trazione ferroviaria, applicazione per la quale ci si scontra subito con una difficoltà al momento insormontabile: la trazione dei treni è nella maggior parte dei casi a vapore e difficilmente il treno potrebbe disporre dell'energia elettrica per i pattini; il problema si pone anche per le linee a trazione elettrica, visto che il materiale rimorchiato è, nella maggior parte dei casi, lo stesso impiegato per i treni a vapore. Conseguenza: il freno a pattini sarà previsto solo per i treni ad alta velocità, al momento di gran moda più per motivi di facciata che di reale necessità: la Deutsche Reichsbahn ne decide l'applicazione sui treni composti di materiale automotore sul quale è già presente un generatore di energia elettrica per la trazione, ad es. sul Fliegender Hamburger, treno articolato diesel-elettrico a tre elementi che diverrà, a torto o a ragione, un simbolo per le ferrovie tedesche dell'epoca. Anche le Ferrovie Federali Svizzere condurranno esperimenti di montaggio dei pattini su elettromotrici leggere, senza peraltro arrivare a soluzioni definitive, mentre in Italia si pensa di applicare il freno a pattini su un ETR200 e c'è anche qualcuno che con precisi calcoli cerca di dimostrarne l'utilità: per fortuna non se ne farà niente.

Diverso è il caso di molte ferrovie di montagna, sulle quali la presenza dei pattini costituisce effettivamente un elemento di maggior sicurezza; si veda ad es. il materiale articolato della fu ferrovia Roma-Fiuggi; in tutti i casi, vista la presenza sui rotabili dell'impianto del freno pneumatico, per i pattini è stato sempre adottato l'azionamento concomitante.

Più recentemente il freno a pattini fu applicato al prototipo del Pendolino, lo ETR401 del 1976, ma l'applicazione non fu mantenuta per i rotabili di serie. D'altronde, autorevoli voci sostengono che i pattini possono essere pericolosi in trazione ferroviaria, per la possibilità di impuntamento su scambi e altri punti singolari del binario (osservazione di S. Tassone).

Un freno a pattini del 1904 (1)

E' di costruzione British Thomson Houston. Secondo l'autore dell'articolo, il freno avrebbe arrestato una motrice ad imperiale a due assi e due motori del peso di 9 t alla velocità di 22 km/h in circa 5 m in orizzontale e 23 m su pendenza del 70 per mille. Il pattino è sospeso a mezzo di molle a spirale a compressione che, secondo l'inventore, avrebbero il vantaggio su quelle a trazione di non lasciar cadere il pattino sulla via in caso di rottura (lo schizzo allegato all'articolo, qui riprodotto nell'immagine a destra, è invece l'applicazione di un tale freno ad un carrello a massima aderenza). Non si hanno indicazioni sulla disposizione del circuito magnetico del pattino, ma avendosi tre poli e dovendo gli stessi avere polarità alternata, una possibile struttura è quella indicata al centro.

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Fonti.
Blondel, A., Paul-Dubois, F.
-
La traction électrique, Paris, 1898.
Corini, F. -
La trazione elettrica, Torino, 1950.
Groppoli, S. -
Freni a pattini elettromagnetici su rotaia, in Rassegna tecnica TIBB, 1941, n. 1.
(1) Da
L'Électricien
, vol. XXVII, 1904.

 
 
 
 

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Ultimo aggiornamento: giovedì 07 dicembre 2023