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Fino al 1960 ho abitato in via delle Cave, in una casa al quarto piano con un
balcone che si affacciava proprio sui binari della STEFER. Purtroppo la
giovanissima età - quando ci trasferimmo nella non lontana via Genzano dovevo
ancora compiere sei anni - mi impedì allora di sfruttare al meglio quel posto di
osservazione privilegiato.
Devo poi confessare che all’epoca i tram mi interessavano fino a
un certo punto, certo non più di tante altre cose come per esempio i treni
(quelli veri e quelli Märklin), i mezzi militari e gli autoveicoli, quindi
ricordo che la cosa che più mi piaceva osservare da quel balcone non erano i
tram ma i furgoncini della ditta Ferrero che la sera rientravano nella loro
rimessa.
I miei primi ricordi legati ai tram della STEFER riguardano
invece il capolinea di via Eurialo, dove mi capitava spesso di prendere il tram
con mia nonna quando ci si recava dalle parti della stazione Termini a trovare
la sorella o per qualche acquisto nei negozi di via Nazionale e dintorni. In
quelle occasioni, invece di salire su un tram già affollato proveniente da
Cinecittà, preferivamo prenderlo a via Eurialo dove terminavano le corse
limitate esercitate con le 300 e le 320, che avevano ancora sulle fiancate lo
stemma circolare STFER (senza la E) identico a quello del materiale
extraurbano.
Questo rappresenta un altro dei misteri della STEFER: per quale
ragione un giorno questi bellissimi stemmi sparirono dalle 300, ma rimasero in
opera fino alla fine quelli analoghi sul materiale extraurbano, oltre a quelli
rettangolari sulle 400 e a quelli pure rettangolari ma già con la scritta
STEFER sulle 500? E perché, per fare un altro esempio,
molti anni dopo solo le 400 ricevettero due fari di tipo automobilistico mentre
tutto il restante materiale rimase con i vecchi fanali d’origine?
A parte ciò, il capolinea di via Eurialo aveva certamente un suo
fascino, con il binario di raddoppio, che speravo sempre di vedere utilizzare, e
il cartello bianco appeso a un tirante della linea aerea, con la scritta in
lettere azzurre STEFER CAPOLINEA ULTIMA PARTENZA ORE 22,05
(negli ultimi anni di esercizio venne sostituito da un analogo cartello rosso,
senza più indicazioni relative all’orario). Via Eurialo era poi il posto dove
poter osservare con calma, in attesa del tram, i particolari costruttivi della
linea aerea: i morsetti di vario tipo e i caratteristici isolatori in ceramica
che chiamavo “pagnottelle” e che apparivano perennemente ricoperti da una spessa
patina nera (altro che lo smog di oggi, a quei tempi era molto peggio anche a
causa dei tanti impianti di riscaldamento a carbone!).
Il capolinea di via Eurialo nell'immediato dopoguerra e nei primi anni Cinquanta.
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Nel 1960 il Web Editor
[Vittorio Formigari] lavorava in una ditta con uno
stabilimento posto sulla via Appia Nuova, subito dopo l'incrocio con via delle
Cave e per un certo tempo fu sua abitudine, uscito dal lavoro alle 17, passare
una mezz'ora appunto in via Eurialo dove stazionava qualche vettura del servizio
urbano; di rado, dato che già in quell'epoca il capolinea di via Eurialo era
usato pochissimo, almeno all'ora del mio appostamento (lo stesso doveva avvenire
con la massima circospezione, per non essere sorpreso da qualche
collega di lavoro, pena una infinita serie di prese in giro). Per quanto
riguarda gli isolatori a pagnottella, questo era il tipo normalmente utilizzato
per le reti con trolley a rotella e, nei ricordi del Web Editor, negli anni Trenta
restava anche sulla rete ATAG almeno un tratto di linea aerea con questi
isolatori: il tratto di via Cernaia da via Volturno a via
Goito. La STEFER riutilizzò questi antichi isolatori fino all'ultimo, anche
nella tratta della linea di Cinecittà spostata dalla via Tuscolana al
viale S. Giovanni Bosco nel 1975 per la costruzione della metropolitana. |
Il mio grande amore per i tram dei Castelli nacque comunque
nell’estate del 1961, quando per la prima ed unica volta andammo per qualche
tempo in vacanza a Rocca di Papa. Come vacanza non fu gran che – mi divertivo di
più al mare – ma in compenso scoprii il fascino della funicolare, e nonna molto
affettuosamente mi accompagnava spesso a fare una corsa fino al capolinea del
tram e ritorno. L’orario prevedeva due corse molto ravvicinate in coincidenza
con l’arrivo del tram, poi un intervallo piuttosto lungo fino all’arrivo di
quello successivo: capitava così che nonna, disponibile ad accompagnarmi ma non
a passare la mattinata a Valle Vergine, mi portasse su e giù nel giro di pochi
minuti, mentre io avrei voluto trattenermi fino all’arrivo del prossimo tram.
Comunque alla fine della vacanza ebbi la formale promessa di una
gita in tram e funicolare a Rocca di Papa alla prima occasione, ma purtroppo non
se ne fece nulla anche perché l’anno successivo la linea venne soppressa, e
ricordo ancora il rammarico dei nonni per non aver fatto in tempo a mantenere la
promessa.
In realtà ho un vago ricordo di un viaggio su un convoglio dei
Castelli, probabilmente risalente a qualche tempo prima, nel quale mi rivedo
sulla piattaforma anteriore del rimorchio (o forse su quella posteriore della
motrice) intento ad osservare attraverso il finestrino frontale l’altra vettura
e gli accoppiatori flessibili del freno pneumatico. Proprio questi
rappresentavano per me la caratteristica più vistosa del materiale extraurbano,
tanto che coniai per quest’ultimo la definizione di “tram coi tubi”. La presenza
della rimorchiata conferiva poi ai convogli dei Castelli un’aria piuttosto
ferroviaria che li distingueva da tutti gli altri tram (abitando nel quartiere
Appio non ho mai visto purtroppo il materiale ATAC a due assi), senza contare
che sono sempre stato attratto da tutti i veicoli, anche su gomme, trainanti un
rimorchio.
Dovizia di tubi e cavi su una testata di un rotabile per treno reversibile.
I tubi dei freni rappresentarono sempre un oggetto
interessante del materiale tramviario e ferroviario. Per una ragione mai
chiarita, nei tardi anni Trenta l'ATAG soppresse tutti i gli accoppiatori
posteriori al materiale rimorchiato, lasciando solo una decina di rimorchi con i
"tubi" di dietro per i convogli a tre vatture della linea 1; la cosa fu sempre
oggetto di dispiacere per il sottoscritto, che invece vedeva i rotabili dei
Castelli muniti di tubi , gancio e attacco per la luce presenti su entrambe le
testate dei rotabili (nota del Web Editor).
Dopo la chiusura della Roma-Rocca di Papa capitava spesso che ci recassimo in
gita nei dintorni di Rocca Priora, dove mio zio aveva una casa. Percorrevamo in
auto la via Anagnina costeggiando il binario del tram ricoperto dall’erba, con i
pali della linea aerea ed i caratteristici segnali di blocco ancora in opera ai
raddoppi, poi dopo il bivio di Grottaferrata con i suoi misteriosi scambi il
binario, visibilissimo sotto l’asfalto, deviava a destra con mio grande
rammarico mentre l’auto di papà tirava dritto.
Molto tempo dopo, negli ultimi anni della gestione STEFER, mi capitò di leggere
su un giornale una notizia curiosa: alcune corse dell’autolinea per Rocca di
Papa, riconoscibili per la tabella di percorrenza in caratteri rossi anziché
neri, erano ancora considerate corse sostitutive e godevano perciò della tariffa
tranviaria, più bassa rispetto a quella automobilistica. Ciò faceva sì che gli
autobus con la tabella nera viaggiassero semivuoti, e quelli con la tabella
rossa strapieni.
Tornando ai primi anni ‘60, anche se il tram non andava più a Rocca di Papa,
sapevo che qualche servizio extraurbano ancora esisteva perché vedevo passare in
via Appia i convogli che mi piacevano tanto e quindi la speranza di poterci
viaggiare c’era ancora; purtroppo la cosa non si concretizzò e un giorno
nonno mi annunciò che anche l’ultima linea, la Roma-Genzano, era stata
sostituita dagli autobus. Eravamo all’inizio del 1965, che rimase per sempre
nella mia memoria un anno nero per i tram perché oltre agli ultimi servizi per i
Castelli, scomparvero pure, più o meno nello stesso periodo, diverse linee
ATAC che conoscevo come il 9, il 16 e il 18.
Poco dopo ci fu una grande nevicata, un evento raro per Roma, e la mattina zio
venne a prendermi e mi portò a fare un giro in macchina per via Appia dove i
rami dei pini, cedendo sotto il peso della neve, avevano interrotto in più punti
la linea aerea. Da via delle Cave a S. Giovanni il binario era pieno di tram immobilizzati
e ricordo un autocarro della STEFER che stava cercando di trainare una 400 per
liberare un incrocio.
Qualche tempo dopo la soppressione della Roma-Genzano ebbi una vera sorpresa
quando, passando in macchina con i miei lungo l’Appia, mio padre mi disse:
”Guarda tutti i tram che hanno messo in disarmo!”. I binari di Capannelle, che
mi avevano sempre interessato perché immersi nel verde dei prati e della pineta
e anche perché forse già usati in precedenza per l’accantonamento di qualche
vecchio rotabile, apparivano letteralmente stipati di motrici e rimorchi
extraurbani ormai fuori servizio!
Rotabili accantonati a Capannelle nel 1966.
Colpito da un tale spettacolo iniziai a chiedere insistentemente di essere
accompagnato a Capannelle, e qualche tempo dopo mamma mi accontentò portandomici
con la sua 500: ho ancora negli occhi, dopo oltre 40 anni, l’immagine di mamma e
nonna intente a lavorare a maglia sedute sul predellino di un tram, mentre mio
fratello e io salivamo e scendevamo dalle vetture accantonate. Ricordo bene una
motrice, che evidentemente non era stata più riparata dopo un incidente, che
aveva una cabina completamente fracassata e il controller divelto, mentre altre
vetture presentavano danni o erano state più o meno cannibalizzate, anche se per
fortuna non esistevano ancora writers e bombolette spray. C’era anche una
motrice chiaramente usata come veicolo di servizio, agganciata a un carro a
sponde, che era stata lasciata in sosta addirittura con il pantografo alzato:
non osai avvicinarmi, ma spero che almeno l’avessero chiusa a chiave! Alla fine
riuscii a portarmi via come souvenir un portalampade, smontato con l’aiuto della
limetta per le unghie di nonna dal fanale di una motrice, che conservai come una
reliquia finché probabilmente mamma, che odiava le cose inutili o presunte tali,
non lo buttò via.
I tram accantonati durarono poco: non ricordo con precisione i tempi ma ben
presto, passando come al solito in macchina lungo l’Appia, vidi che il capolinea
era diventato un cantiere dove le vecchie vetture venivano fatte a pezzi e
bruciate per eliminare le parti in legno.
Il perché di tanta fretta lo capii qualche tempo dopo, quando papà mi annunciò
che sui binari di Capannelle erano state ricoverate alcune vecchie vetture
ATAC del tipo due camere e cucina. Al momento pensai che fossero state portate lì
per essere demolite, e insistetti con i miei per un sopralluogo: scoprii così
che le vetture erano in buone condizioni e perfino guardate a vista da uno
scorbutico guardiano che ovviamente non mi permise di salirvi.
Nel frattempo credo che qualche convoglio extraurbano venisse usato in servizio
urbano nelle ore di punta, ma purtroppo quelli erano gli anni della scuola media
dove tra la frequenza antimeridiana e la mole di compiti da svolgere nel
pomeriggio rimasi tagliato fuori dalle esplorazioni tranviarie. Ricordo però di
aver visto, nei primi mesi del 1966, un convoglio fuori servizio che si dirigeva
verso il deposito, e anche nonno mi parlò una volta di corse in partenza da via
Eurialo la mattina presto, effettuate con materiale ex Castelli.
Nel 1968 iniziai a frequentare il liceo scientifico Paolo Sarpi in via di S.
Croce in Gerusalemme, che naturalmente raggiungevo con il tram della
STEFER che prendevo a via Eurialo, usufruendo di un abbonamento a tariffa ridotta per
studenti "valido nei soli giorni di scuola", come recitava il timbro appostovi.
Ricordo che per il rilascio e la convalida mensile di tale abbonamento, che
comportava adempimenti burocratici degni di un porto d’armi, bisognava recarsi
all’ufficio abbonamenti della STEFER nei sotterranei della stazione Termini,
dove gli addetti allo sportello si distinguevano per la particolare arroganza e
maleducazione.
Ormai il servizio per via Eurialo era esercitato prevalentemente con le
triestine, vetture interessantissime anche per le vestigia della bidirezionalità
e ricordo il quadro degli interruttori con le affascinanti targhette
LUCI, FANALI, LAMPEGGI, CORSA PARI e CORSA DISPARI, che mi divennero ancora
più simpatiche dopo aver ammirato le loro consorelle ancora in servizio sulla
rete ACEGAT (Trieste) in occasione di un viaggio con i nonni nel settembre del 1969.
Tra l’altro le triestine che vidi nella loro città d’origine oltre ad essere
bidirezionali avevano anche gli accoppiatori del freno (i famosi “tubi”) nonché,
particolare curioso, le scaldiglie come le carrozze ferroviarie (evidentemente a
Roma bastava il… calore umano!).
Rividi poi le MATER ex ATAC a suo tempo ricoverate a Capannelle, ora
riverniciate nei colori bianco e blu della STEFER e munite di pantografo, in
servizio sulla linea di Cinecittà anch’esse soprattutto la mattina presto.
Capitava però spesso, la mattina, di trovarne qualcuna anche in partenza da via Eurialo, e più di una volta mi capitò di andare a scuola a bordo di una di esse.
Non conoscevo allora la storia di quei tram, ma ricordo bene che avevano un
fascino speciale legato anche al particolare rodiggio; come ho già detto, non
avevo mai visto il materiale ATAC a due assi, ma le MATER mi facevano pensare
alle Edison milanesi, che conoscevo dal modello Rivarossi.
Comunque si capiva che era materiale vetusto in condizioni ormai quasi precarie:
a volte sulla salita di via Nola scattava l’interruttore principale e ricordo di
averne viste in più occasioni ferme in linea per guasto. Addirittura una volta
l’avaria di una MATER mi fece perdere un giorno di scuola: una di esse, in
servizio per Cinecittà, si guastò all’inizio di via delle Cave e venne spinta
dalla vettura seguente sul binario di via Eurialo, impedendone così l’uso; era
ormai tardi e i tram che venivano da Cinecittà erano strapieni e imprendibili,
mentre era appena passato quello da Capannelle, che aveva una frequenza di
almeno 10-15 minuti. Calcolai che non sarei potuto arrivare a scuola in
orario, e così decisi senza troppi rimpianti di tornarmene a casa!
Il servizio per via Eurialo venne poi sospeso intorno al 1970, per carenza di
personale come sentii dire da un conducente, e dopo un’effimera ripresa,
definitivamente anche se non ufficialmente soppresso nei primi anni ’70. Il
bello è che durante l’estate del 1975 il binario del capolinea venne
completamente ricostruito con la massima cura, senza essere più utilizzato
nemmeno una volta!
Gli anni del liceo furono un bellissimo periodo di continue e interessanti
esplorazioni tranviarie, e devo dire che nonostante il grande interesse che
provavo anche per la rete ATAC, la STEFER era molto più “ferroviaria”, un po’
forse per la presenza dei lunghi tratti in sede propria ma anche, credo, per la
mentalità del personale. Capitava così di assistere ad interessanti manovre che
sarebbero state inconcepibili in casa ATAC, come quella volta che mi trovavo su
una 320 e a piazza dei Re di Roma ci trovammo davanti una 400 ferma per un
guasto. Dopo una breve consultazione tra il personale, le due vetture vennero
agganciate e la nostra 320, con tutti i suoi problemi di aderenza, cominciò a
spingere la 400 verso il deposito (notare che entrambe le vetture erano piene di
viaggiatori!). Ad un certo punto saltammo una fermata e alle rimostranze di
qualcuno il conducente della 320, un omone grasso e tutto sudato, si girò
gridando: “Ahò, mica stamo a giocà!”.
L’entrata in servizio delle MATER, delle triestine e delle quattro bolognesi,
che stazionarono anch’esse per qualche tempo a Capannelle in attesa della
revisione, provocò l’accantonamento del residuo materiale extraurbano, tranne le
poche motrici usate per il traino dei carri merci. I binari di Capannelle si
riempirono così di nuovo di motrici e rimorchi, e riuscii in diverse occasioni a
compiere delle spedizioni esplorative; ad esempio mi ci recai in tram con il mio
amico Pino in occasione dell’arrivo a Roma del presidente americano Nixon,
quando poi ci spingemmo a piedi fino al raccordo anulare per veder passare il
corteo presidenziale in arrivo dall’aeroporto di Ciampino. Ricordo di aver
notato quel giorno - eravamo, credo, nel 1969 - che lungo l’Appia, oltre le
Capannelle, erano ancora in opera i binari e i pali della Roma-Albano, ma in
corrispondenza dei raddoppi erano stati asportati gli scambi.
Del materiale accantonato a Capannelle con la seconda infornata e che venne
demolito più lentamente dopo che man mano erano stati smontati pantografi,
interruttori, fanali e tutte le parti riutilizzabili, ricordo bene il rimorchio
pilota 294, che aveva effettuato insieme alla motrice 94 l’ultimo treno della
Roma-Genzano. Alla fine, intorno al 1970-71, rimasero solo due motrici, una
della quali era la 74 usata in precedenza come motrice di servizio, e una
rimorchiata, che vennero anch’esse demolite prima che i binari di Capannelle
diventassero il cimitero delle MATER, accantonate definitivamente verso il 1972
e demolite a loro volta l’anno seguente.
Qualche demolizione avvenne però sicuramente anche all’interno del deposito di
via Appia: diversi anni dopo, poco prima della cessazione definitiva del
servizio tranviario, avendo ormai fatto amicizia con alcuni agenti
dell’ACOTRAL. (ex STEFER) entravo (quasi) liberamente nel deposito, e scoprii
in un angolo un mucchio di rottami che avevano l’aria di essere lì da un bel po’
di tempo, e che erano tutto ciò che restava della motrice 81.
Tornando ai primi anni ’70, per rivedere qualcosa del bel materiale dei
Castelli, al quale ero tanto affezionato, non restava che sperare di incontrare
qualche motrice di servizio. Tali incontri erano per la verità tutt’altro che
rari: le tre motrici superstiti, che erano la 64, la 70 e la 82, erano
utilizzate molto intensamente al traino dei carri merci per la manutenzione
delle linee. Ricordo che la 82 era impiegata per trainare il carro scala 120,
mentre la 64 e la 70 trainavano abitualmente i carri a sponde 1 e 117. Esisteva
poi il bel carro diserbante 119, molto caratteristico perché aveva mantenuto
l’aspetto esteriore della rimorchiata a due assi da cui proveniva, pochissimo
utilizzato e sempre fermo a Capannelle insieme al carro a bilico per trasporto
rotaie, ricavato dal telaio di un rimorchio a carrelli, che non ebbe mai una
numerazione.
Carro a bilico per il trasporto di rotaie
Anche per questo caratteristico materiale ci fu un’evoluzione, o meglio,
purtroppo, un’involuzione: ad un certo punto arrivò un carro scala automotore
ferroviario (aveva perfino i respingenti!) e questo segnò la fine del carro 120
al quale venne demolita la torre mentre il telaio finì, come al solito, su un
binario morto a Capannelle; la motrice 82 venne deturpata saldandole su una
fiancata i supporti per l’asta di traino delle piattine per trasporto rotaie,
che avevano ormai sostituito il vetusto carro a bilico, mentre il 119 venne
rimpiazzato, chissà perché, da un altro carro diserbante molto più rozzo
costruito sul telaio del rimorchio a due assi 118.
A Capannelle nel 1965 il carro diserbante 119 e la motrice 64 con il carro 1
In seguito, negli ultimi
anni, venne accantonata - qualcuno mi disse per avarie ai motori - la 64 che era
forse la più storica delle motrici superstiti. Rimasero così la 70, che mi è
sempre piaciuta poco per via delle radicali trasformazioni subite che la
facevano assomigliare, all’interno, a una vettura urbana, e la 82 che sarebbe
stata anche bella se non fosse stato per la faccenda dell’asta di traino e per
la mancanza dei predellini sul lato sinistro, retaggio forse di un precedente
impiego in servizio urbano. Altro mistero: se l’ipotesi è giusta, come mai solo
questa motrice venne privata dei predellini, e perché questi non vennero
rimontati quando la vettura passò ai servizi interni, dal momento che la loro
mancanza la rendeva di fatto monodirezionale, comportando a mio avviso una
limitazione non indifferente nell’uso come motrice di servizio?
La 82 al deposito di via Appia; la 70 a Capannelle (1966).
Gli ultimi anni trascorsero veloci, con i lavori della metro A che incalzavano e
costringevano a vere acrobazie per mantenere il servizio. Dal giugno del 1978
venne soppressa la linea di Capannelle, anche se le motrici di servizio
continuarono fino all’ultimo a raggiungere l’ex capolinea pur tra le difficoltà
causate dalle auto lasciate in sosta sui binari e dalle cattive condizioni degli
impianti: negli ultimissimi tempi veniva addirittura utilizzato il solo binario
dispari, cioè quello di destra andando verso Capannelle, e i convogli di
servizio, al ritorno, si reimmettevano sul binario legale utilizzando la
comunicazione nei pressi del deposito. L’amicizia con un anziano
conducente, che ormai guidava solo i convogli di servizio, mi offrì l’occasione
per qualche corsa a bordo delle vecchie motrici extraurbane; questo conducente
una volta mi parlò anche, secondo me con una certa dose di fantasia,
dell’esistenza di un magazzino sotterraneo nel deposito di via Appia dove si
sarebbero trovati svariati reperti interessanti, tra cui i famosi predellini
della motrice 82 e addirittura alcuni segnali di blocco smontati dalle tratte
extraurbane. In realtà l’unico magazzino che riuscii a visitare quando il
servizio tranviario era ormai cessato, accompagnato da un operaio dell’armamento
che aveva ricevuto in consegna le chiavi, non era sotterraneo e non conteneva
nulla di interessante a parte qualche vecchio manometro e qualche rubinetto del
freno.
La questione del magazzino sotterraneo ci è però giunta anche
da altre fonti e non è escluso che, almeno in parte, risponda a verità.
Dopo la soppressione della linea di Capannelle la contrazione del servizio
comportò una minore necessità di rotabili, e anche qualche vettura urbana
cominciò a essere accantonata: scomparvero così le bolognesi, del resto mai
utilizzate intensamente, una delle quali rientrò nella sua città per le
celebrazioni del centenario dei tram e con mio grande rammarico anche le
triestine non si videro più in giro. Ricordo però che almeno una di esse veniva
usata per il traino delle vetture in avaria, compito per il quale erano
certamente le vetture più adatte per la completa aderenza e le piccole
dimensioni e per un po’ mi illusi che l’ATAC avrebbe potuto prendersene
qualcuna per rimpiazzare i vecchi locomotori, magari ripristinandola come
bidirezionale!
Era ormai chiaro, purtroppo, che ciò che restava delle Tranvie dei Castelli
sarebbe stato soppresso con l’apertura all’esercizio della metro A, anche se
qualche anno prima un curioso episodio mi aveva fatto supporre che almeno la
linea di Capannelle sarebbe rimasta. Infatti verso il 1969 era iniziata la
costruzione a Tor Fiscale di due capannoni simili a quelli del deposito di via
Appia, anche se ovviamente in cemento armato. Il cartello del cantiere:
COSTRUZIONE DI UNA RIMESSA TRAMVIARIA non lasciava dubbi e ricordo di
aver letto sui giornali che il vecchio deposito doveva essere demolito per
consentire la costruzione della stazione "Furio Camillo" della metropolitana.
Molto ingenuamente pensai che non sarebbe stata realizzata un’opera così
impegnativa per utilizzarla solo pochi anni, e che probabilmente la
STEFER avrebbe mantenuto in servizio il tram per Capannelle anche dopo l’apertura della
metro. Invece ben presto emersero, secondo la stampa dell’epoca, alcuni presunti
intrallazzi tra la STEFER e l’impresa impegnata nei lavori a Tor Fiscale, nonché
i soliti vincoli archeologico-paesaggistici per la presenza dell’antico
acquedotto romano, e i lavori giunti ormai a buon punto vennero sospesi.
Risultato di tutta la faccenda: il progetto della stazione della metropolitana venne modificato per
consentirne la realizzazione senza toccare il vecchio deposito, immagino con
maggiori costi, e i capannoni di Tor Fiscale sono ancora lì dopo quasi quarant'anni,
alla faccia del paesaggio, assolutamente inutilizzati se non saltuariamente come
ricovero da parte di persone senza fissa dimora.
La manutenzione della linea presentava aspetti contraddittori: fino all’ultimo
si effettuarono lavori chiaramente inutili, come la riattivazione del raddoppio
di via Pulvillo pochi giorni prima della chiusura della Termini-Cinecittà o la
ricostruzione della linea aerea a Tor Fiscale dopo che la Termini-Capannelle
era ormai chiusa da tempo, mentre altri interventi venivano compiuti con una
trascuratezza che mi irritava, come la riverniciatura dei pali della linea aerea
che veniva effettuata fino ad una certa altezza, lasciando l’estremità in preda
alla ruggine!
Comunque, finché continuarono le revisioni del materiale rotabile era un vero
spettacolo vedere ad esempio una 500 riverniciata di fresco e tutta tirata a
lucido, con il cielo della vettura bianco candido che la sera la rendeva
gradevolissima all’interno per la grande luminosità, al contrario di certi
autobus dell’ATAC che in anni più recenti erano illuminati in maniera veramente
cimiteriale!
Poi venne il 15 febbraio del 1980. |
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